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Riflessioni dal Convegno “Terra Madre e.. Agire da conquistatori o viaggiatori, dare più valore alla meta o al cammino?”


Di Sabrina Giobini

Si è svolto a Breno (BS), nella mattinata dell’8 novembre 2008, il Convegno TERRA MADRE E…, organizzato dalla commissione Cai Tam della Valle Camonica in collaborazione con la sezione di Cedegolo. Il tema, interpretato da ogni relatore in modo libero e personale, si è snodato intorno a diversi aspetti del rapporto uomo-ambiente, anche grazie alla diversa prospettiva con cui ognuno di loro si rapporta quotidianamente con il territorio: dall’autorevole professor Salsa, presidente nazionale del Cai (purtroppo assente per sopravvenuti impegni, ma partecipe con un contributo inviato e letto all’inizio dei lavori), al noto alpinista Fausto De Stefani, dal dottorando Valerio Corradi all’operatore corporeo e praticante Zen Silvio Mottarella, dalla responsabile Settore Parchi della provincia di Brescia Elena Tironi all’architetto Pietro Giorgio Zendrini, ideatore del Convegno stesso. Per coordinare sono intervenuti Sandro Gianni, della Commissione TAM, e Caterina Facchini, presidente del Cai Cedegolo.

Ne è emerso un puzzle complesso e poliedrico, il cui denominatore comune è stata l’aperta denuncia di un’insostenibilità dell’attuale rapporto di consumo dell’ambiente da parte dell’uomo, ma anche l’interpretazione di segnali di speranza e di nuovi sentieri da percorrere per un più equo rapporto dell’uomo con la natura e innanzitutto con se stesso.

Nello scenario attuale, emblematico è il diffondersi di non-luoghi: ambienti artefatti reperibili in contesti  assai diversi, trapiantati tout court da una città e da una nazione all’altra, come le catene di negozi che creano familiarità a distanza; queste clonazioni che nascondono, omologando, la paura di esplorare un ambiente nuovo, sono indice della perdita di un rapporto reale della persona con l’ambiente che lo circonda, come lo è la diffusa tendenza alla deregulation, l’atteggiamento di sfida e di onnipotenza di fronte alle regole, che porta a mettere in discussione non solo le autorità in genere ma gli stessi limiti che il buon senso e la natura impongono. L’uomo moderno fatica ad ascoltare, a mettere in secondo piano la propria espansione, ad assumersi la responsabilità di una risposta concreta quando i danni ambientali lo interrogano.

Eppure è solo in un corretto gioco di interscambio, in un riequilibrio con la terra madre che lo ospita, che egli può recuperare la propria dimensione. Come dice De Stefani, le cose semplici non le vuole più nessuno, sembrano non servire… eppure è da lì che si passa! La Natura è la vera terapia dell’uomo contemporaneo: la natura da toccare, da annusare, da contemplare, l’esperienza di un contatto diretto che ci riaggancia alle nostri radici, o che ce le fa scoprire con meraviglia, come avviene per i bambini nelle Scuole Materne dove si coltiva un orto. Perché questo consente di coltivare l’Anima, che nessuna conoscenza o dvd sulla natura potrà sostituire.

Curiosamente l’alpinista, che preferisce definirsi camminatore, racconta che il suo primo viaggio sono state le favole! Le favole raccontate da un vecchio che girava per lavoro con la sua bicicletta sgangherata e il suo carico di oggetti riciclati, animato dal gusto per i lavori semplici e capace, nutrendo i propri sogni, di risvegliare quelli altrui, un vecchio che gli ha trasmesso il senso dell’incanto. Ciò che salva in una società malata come la nostra, è il credere in qualcosa e orientare la propria azione verso questo valore. Ecco allora che occorre il sogno, un sogno che non fa chiudere gli occhi ma li apre, smuove energia, rende operativi.

Da più parti sta emergendo negli ultimi tempi una controtendenza, dettata dalla consapevolezza che è indispensabile un cambiamento di rotta. Sostanzialmente ci sono due posizioni: la prima è l’utilizzo di nuove tecnologie che permettono di usufruire delle risorse ambientali senza consumarle in modo acritico, come i pannelli fotovoltaici, il georiscaldamento, le auto ecologiche; la seconda posizione è un invito a fare un passo indietro ed a rivedere il proprio stile di vita, riportando essenzialità di consumi, attuando il riciclaggio domestico, la riduzione di spostamenti, fino ad arrivare ad esperienze più radicali come l’ecovillaggio. La soluzione ideale pare essere una mediazione tra i due approcci: occorrono sì nuove tecnologie, che sono applicabili su larga scala e accolte più facilmente da tutti, ma abbinate ad una nuova sensibilità verso l’ambiente che si traduce in un diverso stile di vita e in più accorto sguardo sulle cose. Ciò che si auspica è la costruzione condivisa di un percorso partecipato di sostenibilità, un modo integrato di compiere un pellegrinaggio collettivo.

La metafora del pellegrino permette di introdurre la riflessione su un altro punto: la confusione che spesso l’uomo fa tra il cammino e la meta. È necessario ripetersi che quello che conta non è consumare la strada, ma ciò che accade mentre la si percorre, così come nella vita non si vive in funzione della morte, ma dello scorrere stesso della vita. Il pellegrino, a differenza del turista, non viaggia semplicemente per vedere, per acquisire immagini e dati, ma per vivere il viaggio con i suoi incontri e lasciarsi trasformare da questo scambio; non consuma il territorio a proprio beneficio, ma lo attraversa conoscendolo passo dopo passo, entrandovi in relazione. 

L’uomo tende a pensare che ci sia sempre qualcosa da raggiungere fuori di sé, da qui la spinta a conquistare; questa dualità in realtà è illusoria se l’uomo riesce a riscoprirsi come parte integrante del Tutto: la pratica Zen è uno dei modi in cui ci si educa a questa percezione, si sperimenta il senso di Assoluto e lo si riporta nel quotidiano; riconoscendo di non essere staccati da ciò che è Altro, non ci si sente qualcosa di diverso dall’ambiente che ci circonda; conseguentemente le azioni che ne derivano non sono centrate sull’interesse del singolo ma improntate all’integrazione, al ricostituire l’unità che lega gli esseri viventi tra loro e con il loro territorio.

In quest’ottica l’uomo potrebbe allora recuperare anche ciò che ha perso: l’ascolto dei segnali che la natura dà. Lo scambio dell’uomo con l’ambiente è necessario, molti interventi utili, ma non senza l’indispensabile consapevolezza di quello che tali interventi comportano.

La conclusione è dunque una sfida: quella di riuscire a riappartenere al nostro luogo, attraverso la maturazione di un processo che è al tempo stesso assunzione di un concreto percorso individuale e la partecipazione ad un più ampio, rinnovato orientamento sociale.

Giancarlo Costa

Snowboarder, corridore di montagna, autore per i siti outdoorpassion.it runningpassion.it snowpassion.it e bici.news. In passato collaboratore della rivista SNOWBOARDER MAGAZINE dal 1996 al 1999, collaboratore della rivista ON BOARD nel 2000. Responsabile tecnico della rivista BACKCOUNTRY nel 2001. Responsabile tecnico della rivista MONTAGNARD e MONTAGNARD FREE PRESS dal 2002 al 2006. Collaboratore della rivista MADE FOR SPORT nel 2006.