Unione Montana Mombarone: valorizzazione del paesaggio, nuovi percorsi sociali e imprenditoriali in un quadro di green economy
Esiste un angolo di Piemonte in cui l’attività dell’uomo combatte contro forza di gravità e pendenza sui fianchi della montagna dal lontano Medioevo. Si tratta delle pendici del Mombarone e delle montagne vicine, nell’Alto Eporediese, area di cerniera tra la montagna alpina e le colline moreniche, dove gli antichi terrazzamenti che ne caratterizzano il paesaggio raccontano di una cultura millenaria legata alla vite, all’uva e al castagno.
Sono i territori dei comuni di Andrate, Borgofranco, Carema, Chiaverano, Lessolo, Montalto Dora, Nomaglio e Settimo Vittone, riuniti nell’Unione Montana Mombarone, portatori di un rilevante patrimonio culturale e storico in cui si avvicendano ambienti naturali e montani, aree lacustri, ma soprattutto terrazzamenti in pietra, con i caratteristici tupiun e pilun e le architetture medievali. In questa terra di frontiera, pizzicata tra la Valle D’Aosta e la pianura di Ivrea, si trova una ricchezza culturale e naturale unica fatta di produzioni di qualità e opportunità di turismo lento ed esperienziale.
La comunità alpina del territorio, sotto la guida dell’Unione Montana Mombarone, negli ultimi anni si è impegnata nella valorizzazione del paesaggio terrazzato per generare nuovi percorsi sociale e imprenditoriali in un quadro di green economy. Grazie ad un recente progetto finanziato dalla Fondazione torinese Time2, nel corso del 2020 e 2021, la comunità locale ha voluto ripartire dal riconoscimento del patrimonio dei terrazzamenti in pietra, portatore di radici e valori culturali specifici, per attivare azioni di welfare generativo, micro-imprenditorialità e cura del territorio. Un territorio che grazie a questi terrazzamenti, come scritto nel Piano Strategico Dalla Dora al Mombarone del 2018, sottoscritto da tutte le amministrazioni locali, possiede un importante landmark naturale da mettere al centro delle politiche future di sviluppo dell’area.
L’Alto Eporediese è un territorio dall’andamento demografico stabile, con circa 14.000 abitanti e un leggero incremento di residenti registro tra il 2001 e il 2011 (+0,5%). E’ caratterizzato da un’economia che vede il settore secondario impiegare oltre un terzo degli occupati, spesso pendolari verso la pianura, seguito da quello terziario, con attività ricettive e ristorative disseminate sul territorio. In questo contesto si inserisce anche un ricco settore agricolo di qualità, con oltre 180 piccole imprese, impegnati nella valorizzazione delle vigne, degli uliveti e dei castagneti. Grazie alle particolari condizioni microclimatiche l’area conserva il suo paesaggio terrazzato di origine medievale, caratterizzato dalla presenza di muretti in pietra e dalla coltivazione della vite, del castagno e ultimamente la reintroduzione dell’ulivo. Un ambiente in cui i residenti, che hanno saputo mantenere attività di agricoltura e viticoltura di pregio, generano elementi di originalità che rendono questo territorio attrattivo, al pari di altri più conosciuti e celebrati.
L’area dell’Alto Canavese interessata dai terrazzamenti custodisce una cultura affascinante legata all’attaccamento a un territorio non facile, in forte pendenza, ma ricco di cultura e storie incredibili. E lo scrigno di queste testimonianze è sicuramente il Centro Etnografico Canavesano, con sede a Bajo Dora, proprio difronte alla Colma del Mombarone, immerso all’interno di un paesaggio terrazzato di rara bellezza.
Il Centro Etnografico è stato realizzato grazie al capillare lavoro dei membri del Coro Bajolese, cominciato nel lontano 1975, che prima col magnetofono e la macchina fotografica, poi con la cinepresa e la telecamera, e oggi con i mezzi digitali, hanno raccolto e continuano a raccogliere testimonianze sui canti, sulle feste, sui riti, sul lavoro, sull’immigrazione e ogni altra espressione riguardante la cultura e la storia della gente che vive le realtà locali.
Il Centro Etnografico Canavesano di Bajo Dora custodisce oggi un patrimonio di oltre 1600 fotografie, 1200 ore di video girato e 3000 ore di registrazioni audio che ben raccontano un paesaggio caratterizzato dai terrazzamenti, simbolo di storia, tradizioni, saper fare. Un territorio che oggi si sta scoprendo detentore di un landmark naturale come elemento attorno al quale costruire risposte sociali alla sfide imposte dalla crisi economica e sanitaria globale.
Uno dei personaggi più significativi del Centro Etnografico, insieme all’efficiente archivista Giancarlo Biglia e al neo eletto presidente Rinaldo Doro, è sicuramente Amerigo Vigliermo, classe 1935, memoria storica e instancabile frequentatore delle terre canavesane con il suo inseparabile magnetofono e la macchina fotografica con rullino al collo. Oltre ad avere sempre cantato e partecipato alla raccolta e registrazione audio di migliaia di ore di canzoni popolari, il signor Vigliermo ha dato alle stampe Becana vita sana. Testimonianze e osservazioni sulla vita di ieri nell”altro’ canavese (edizioni Priuli e Verlucca), un maestoso libro di 300 pagine a testimonianza della cultura canavesana, che raccoglie innumerevole storie e saghe familiari che hanno portato migliaia di famiglie dei paesaggi terrazzati verso una diaspora per il mondo che dura ancora oggi.
Nel libro, stampato per la prima vota nel 1976 e ristampato 30 anni dopo nel 2006, si leggono storie incredibili, traiettorie di vita che arrivano fino in Francia, Svizzera, Canada e Sud America, per tornare una volta messi da parte i soldi ad acquistare un fazzoletto di terra in pendenza sulle Alpi Graie. I pionieri addirittura, racconta il libro, costruivano i muretti a secco e portavano su la terra, a piedi, con la gerla sulle spalle, 40 chili alla volta.
Comunità, territorio e paesaggio, quindi: sono queste le parole d’ordine che hanno permesso l’avvio all’interno di questo territorio particolare di un insieme di azioni mirate all’inclusione sociale, con attenzione particolare ai soggetti oggi esclusi dal mondo del lavoro, e ad aumentare la sensibilizzazione della comunità nella valorizzazione e cura dei beni comuni. Perché nonostante ci siano un numero non irrilevante di piccole aziende agricole, il paesaggio terrazzato dell’Alto Eporediese rimane ancora scarsamente valorizzato, con fasce di coltivo abbandonate e muretti in pietra che rischiano di franare a valle. Inoltre la crisi economica, sociale e sanitaria che ha coinvolto negli ultimi anni il nostro Paese, anche in queste aree ha aumentato il numero dei disoccupati e fatto crescere la fascia di giovani che faticano ad entrare nel mondo del lavoro. Tutti soggetti che possono trovare sbocco in un’agricoltura di qualità, nella manutenzione del territorio o nell’indotto legato al turismo esperienziale. Produzione agricola, vendita dei prodotti locali e ricettività, recupero dei territori terrazzati di proprietà comunale in abbandono, costruzione di sinergie con le realtà sociali e culturali del territorio, creazione di spazi di visibilità che restituiscano un’idea di filiera del territorio terrazzato per richiamare nuovi turisti interessati, sono tutte azioni messe in campo dall’Unione montana del Mombarone con l’appoggio di alcuni imprenditori locali.
Per saperne di più: www.um-mombarone.to.it/joomla30/
Fonte Piemonte Parchi