Un orso bruno fotografato a Villadossola, primo avvistamento in Piemonte
Pizzicato con le dita nella marmellata, anzi con le zampe nel miele, o quasi. Un bell’orso bruno adulto, un gigante che può raggiungere i 300 kg, immortalato dalla luce del flash di una fototrappola posizionata dalla polizia provinciale dell’azienda agricola Valle Ossola a Villadossola. E’ così che l’orso ha fatto la sua apparizione in Piemonte.
La storia è lunga e inizia nel 1999, più precisamente tra il 1999 e 2002, quando il Parco Adamello Brenta, la Provincia Autonoma di Trento e l’Istituto Nazionale della Fauna Selvatica, con un finanziamento dell’Unione Europea, hanno prelevato dieci orsi nelle foreste slovene di Notranjska e Kočevsko, dove ne vivono più di 560.
Gli orsi bruni (Ursus arctos arctos) un tempo vivevano su tutto l’arco alpino ma l’azione dell’uomo è stata tanto dura nei loro confronti che agli inizi degli anni Novanta ne erano rimasti solo più due o tre, ‘sospesi’ sulle Dolomiti del Brenta. Impossibile una ripresa naturale delle popolazione in quelle condizioni.
Così sono sbarcati in Trentino Masun, Kirka, Daniza, Jole, Irma, Jurka, Vida, Gasper, Brenta, Maya, quattro maschi e sei femmine, su un’arca di salvataggio chiamata Life Ursus.
Nulla era stato lasciato al caso in quel progetto di reintroduzione: l’Ente-Parco scrive che la fase preparatoria aveva previsto anche un sondaggio di opinione (affidato all’Istituto DOXA di Milano) che aveva coinvolto più di 1500 abitanti dell’area. I risultati erano stati sorprendenti: più del 70% aveva dichiarato di essere a favore del rilascio di orsi nell’area, percentuale che saliva fino all’80% se fossero state adottate misure di prevenzione dei danni e di gestione delle situazioni di emergenza. A quasi vent’anni da quel giorno si può dire che il progetto è perfettamente riuscito: gli orsi hanno avuto le loro storie, i loro cuccioli, oggi sono più di sessanta e pochi avrebbero scommesso che uno di quegli orsi sarebbe arrivato fino in Piemonte.
La notte di sabato 2 maggio scorso racconta Riccardo Maccagno, comandante della polizia provinciale del Verbano Cusio Ossola uno di quegli orsi ha fatto una bella scorpacciata di miele: ha rovesciato e distrutto sei arnie per tirarlo fuori, poi ha lasciato le sue belle zampate su alcuni telaietti di cera che ha pestato nell’andirivieni. Non c’è stato bisogno di altro, c’è stata subito la certezza che era proprio una bricconata da orso.
La polizia provinciale ha subito posizionato delle fototrappole che la sera successiva hanno restituito due scatti fotografici all’infrarosso in sequenza: il miele gli era piaciuto. La sera dopo ancora ne hanno piazzate altre per riprenderlo con una qualità migliore. Risultato? L’hanno beccato a rovesciare una casetta delle api ma poi non è andato oltre. Il flash è scattato, si è fatto la fotografia, si deve essere spaventato e se n’è andato. Da lì in poi più nessuna notizia, disperso tra i suoi monti.
I proprietari tutto sommato l’hanno presa bene, allevano le api e anche da questo si vede che ci tengono all’ambiente, certo sarebbe giusto che avessero pure un riconoscimento dice Maccagno, che ha già scritto alla Regione proponendo di valutare la possibilità di risarcire i danni da orso: una previsione di quel tipo evita i conflitti e tiene calmi gli animi perché la loro futura sopravvivenza è possibile solo con il supporto pubblico alla loro protezione: oggi hanno raggiunto un buon numero ma il pericolo che scompaiano del tutto è tutt’altro che scongiurato.
Per capire meglio tutta la vicenda bisogna però ritornare al 2019. A una decina di chilometri da Villadossola prospera il paese di Crevadossola, lì il 28 giugno di quell’anno un orso è stato visto su una strada laterale dell’abitato che porta al limite della montagna: quando ha incrociato i fari dell’automobile si è atterrito, ha scavalcato in fretta e furia le recinzioni delle due villette che lo separavano dal bosco dove si sente al sicuro ed è sparito. Il gran bel trambusto ha allarmato gli inquilini di una di queste case che l’hanno seguito increduli dal balcone: mai e poi mai si sarebbero aspettati di vedere un orso girovagare a nel loro giardino.
Quella probabilmente era la stessa bestia che un recuperatore di automezzi incidentati aveva incontrato due sere prima ma non ci aveva segnalato dice Maccagno. Si è fatto avanti solo quando ha sentito che c’erano altri testimoni. Le sue testuali parole sono state: ‘L’altra sera pure io ho visto l’orso sulla strada ma non ho detto niente per non passare per matto’.
Da quel momento abbiamo perso le sue tracce per un anno, più nessuno ha avuto l’occasione di vederlo o di incrociarlo fino all’episodio di qualche giorno fa.
A dire il vero sappiamo anche qualcosa di più, su quell’orso. Nello scavalcare steccati e cancelli si è procurato una ferita leggera e sul marciapiede ha lasciato delle gocce di sangue. Radames Bionda, tecnico faunistico del Parco naturale Alpe Veglia e Devero, che è in continuo contatto con la polizia provinciale, si è fatto da tramite per inviare ai laboratori dell’Università di Losanna, che fa le analisi genetiche sui grandi carnivori per la Svizzera, i vetrini con i campioni di sangue prelevato, perché aveva il sospetto che si trattasse dello stesso individuo che vagabondava in Svizzera dal 2016. E’ venuto fuori che era proprio lui: M29 – la numerazione è progressiva e M sta per maschio – dice Bionda. I colleghi svizzeri del KORA – Fondazione che si occupa dei grandi carnivori e della gestione della fauna selvatica – qualche giorno prima dell’episodio di Crevoladossola ci avevano segnalato la presenza di orso molto vicino al confine del Parco. Così abbiamo fatto un sopralluogo congiunto con la polizia provinciale al passo della Rossa che è al confine tra l’Alpe Veglia e Devero e il Parco svizzero della Valle di Binn, ma niente: in quei giorni faceva caldissimo, la neve si scioglieva di mezzo metro al giorno e non è stato trovato nulla. Quella stessa notte M29 era a Crevadossola.
L’orso è onnivoro ma ama soprattutto i vegetali: frutti, mele e pere e frutti di bosco, ma anche faggiole, e poi bulbi, radici, piante verdi ma anche funghi e prima di andare in letargo è preso da ‘iperfagia’, così passa la maggior parte del tempo a mangiare. Preda raramente animali più grandi ma non riesce a resistere alle carogne. Alle volte si scontra anche con altri predatori. Può infatti tranquillamente competere con i lupi, per esempio, li scaccia da solo dalle prede che questi hanno ucciso e forte della sua dimensione non rischia di essere predato a sua volta.
Fonte Piemonte Parchi