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Telelavoro per inquinare meno e risparmiare: ma l’Italia è al quartultimo posto in Europa


Fra tutte le varie forme di risparmio energetico e riduzione dell’inquinamento, il telelavoro è di gran lunga fra le meno considerate. In Italia il telelavoro nonostante il crescere della rete Internet e la sua pervasività è stato lasciato alle iniziative delle singole realtà aziendali e individuali, portando il nostro paese agli ultimi posti della classifica europea. In una indagine Eurofound 2010 solo il 2,3% dei lavoratori italiani usufruiva, anche sporadicamente, del telelavoro. Battuti dalla Romania, peggio di noi solo Portogallo, Bulgaria e Malta.

Mentre forme di efficienza energetica come l’installazione dei pannelli solari e coibentazione hanno visto un’attenzione crescente anche grazie alle normative comunitarie, con annessi incentivi statali, il telelavoro è rimasto la cenerentola della riduzione dell’inquinamento e delle politiche pubbliche. A differenza di molte politiche pubbliche non servono grandi opere o particolari regolamentazioni per iniziare a sfruttare i vantaggi del telelavoro, e se la preoccupazione è quella della tutela del lavoratore si ricordi che i primi accordi con i sindacati sul tema risalgono al 2004. Semplicemente la cultura aziendale italiana dominante si sta rivelando impermeabile al tema, legata ad una morente visione di ufficio. Secondo questo approccio, è meglio delocalizzare che risparmiare le spese degli uffici e diffondere il lavoro, una flessibilità e globalizzazione tutta al negativo. A pagarne le spese sono l’ambiente, le tasche dei cittadini e le famiglie. Vediamo come.

Un’auto nel 2015 costa in media 3.200 euro l’anno di mantenimento secondo i dati raccolti dal portale Facile.it. Il 41% delle volte in cui un bambino si spostava nel 2012 lo faceva in automobile mentre gli adulti nel 2014 stavano un’ora e mezza al volante al giorno secondo i dati raccolti dalle scatole nere e rielaborate dall’Osservatorio UnipolSai.

Quali impatti sulla famiglia ha la vita di un pendolare? Nel 2011 Erika Sandow dell’università di Umeå in Svezia ha riscontrato un aumento (+40%) della propensione alla separazione per i pendolari che impiegano più di 45 minuti per andare a lavoro. Non stupisce che questa sensibilità porti la Svezia a percentuali del 9,4% di telelavoratori (2010), quattro volte gli italiani.

E l’ambiente? Da uno studio della Global Workspace Analytics risulta che il telelavoro potrebbe tagliare 51 milioni di tonnellate di emissioni di anidride carbonica nei soli Stati Uniti, come togliere dalla strada tutti i pendolari di New York. (cit. in Joel Kotkin, The New Class Conflict, 2015, p. 163)

Ma il telelavoro ha i suoi lati oscuri: in uno studio del 2012 Mary C. Noonan dell’Università dell’Iowa e Jennifer L. Glass dell’Università del Texas descrivono la “dura realtà del telelavoro” fra il 1997 e il 2004. La probabilità di lavoro straordinario è più alta fra i telelavoratori, e spesso le ore in ufficio si sommano al lavoro da casa che finisce per erodere il tempo libero al posto che liberare il lavoratore dagli spostamenti e concedergli più tempo per la famiglia, specialmente nella cura dei figli e dei familiari.

Le leggi sul lavoro e gli incentivi possono aiutare ma se gli incentivi sono fatti male possono fare danni e non si cambia mentalità con un incentivo o una legge. Solo con un cambio di mentalità aziendale, che spesso considera il telelavoratore come un lavoratore di serie B, e un maggiore rispetto per il tempo libero dei lavoratori, spesso minacciato invece che liberato dai nuovi strumenti, si potranno togliere dalle strade molte automobili, risparmiare tempo e aiutare a consumare meno magari riportando a nuova vita i borghi e i piccoli centri schiacciati dalla crisi e dalle grandi città.

Per saperne di più

Giancarlo Costa

Snowboarder, corridore di montagna, autore per i siti outdoorpassion.it runningpassion.it snowpassion.it e bici.news. In passato collaboratore della rivista SNOWBOARDER MAGAZINE dal 1996 al 1999, collaboratore della rivista ON BOARD nel 2000. Responsabile tecnico della rivista BACKCOUNTRY nel 2001. Responsabile tecnico della rivista MONTAGNARD e MONTAGNARD FREE PRESS dal 2002 al 2006. Collaboratore della rivista MADE FOR SPORT nel 2006.