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Sopravvivere ad Expo: il dilemma sull’area della stazione di Rho nel dopoexpo dopo l’annuncio dello Human Technopole


La stazione di Rho Fiera negli anni prima di Expo era una cattedrale nel deserto: ampi spazi, lunghi corridoi vuoti, biglietterie chiuse. Che arrivassi dalla città o dalla metro ti facevi fare il biglietto dal controllore. Senza penale perché tutti sapevano che in quell’enorme guscio di cemento la biglietteria non c’era. Solo due emettitrici di un singolo operatore ferroviario accoglievano il viaggiatore.

Flash forward verso il 2015, l’evento si avvicina ma davanti alla stazione è tutto un cantiere in vista dell’apertura di maggio. Quando i padiglioni aprono piovono sulla testa dei visitatori pezzi dai soffitti e sulle teste di politici avvisi di garanzia. Sono pochi in credere alla riuscita dell’evento.

L’affluenza esplode nelle ultime settimane fra agosto e ottobre: in stazione gli addetti spingono i visitatori dietro la linea gialla in arrivo dei treni mentre polizia e militari cercano di controllare il flusso e preservare l’accesso alle vie di fuga. A inondare stazione e padiglioni contribuiscono i prezzi ribassati dei biglietti di ingresso all’evento. I biglietti usufruiti superano l’accoglienza secondo il Codacons che nelle ultime settimane invia una diffida urgente alla società organizzatrice per risarcire gli utenti e cambiare le regole di accesso. Oltre a scatenare le furie di chi ha pagato i biglietti a prezzo pieno.

L’eredità di cemento

Oggi la stazione torna ad essere disabitata. Bagni chiusi, biglietterie deserte, traffico ferroviario rimodulato per una stazione che passa da alte affluenze a scarsissime. Basta transitare in treno e guardare sulla banchina i pochi pendolari in attesa del treno.

Intanto cento ettari di terreno agricolo a ridosso della stazione hanno lasciato spazio ai padiglioni pensati per durare il tempo di qualche mese, ora in corso di smantellamento. Non c’è fase dell’Expo che non sia stata oggetto di contesa politica, indagine giornalistica o giudiziaria. Appalti truccati, espropri dei terreni, bonifiche dei terreni, qualità dei lavori e del lavoro in Expo. Ora che l’evento è finito cosa accade?

L’area cementificata nel dopo Expo si pensava potesse attrarre investimenti privati ed un anno fa si fece una gara da 315 milioni di euro per aggiudicarsela. Risultato? Gara deserta, nessun investitore interessato. E lo Stato che sopperisce con l’ipotesi di Cassa Depositi e Prestiti che entra nel governo della società Arexpo, proprietaria dei terreni.

Entro il prossimo anno la società organizzatrice deve lasciare i terreni ad Arexpo, che non è ancora chiaro cosa voglia farne. Si va talmente a tentoni che il Corriere della Sera organizza nei mesi precedenti alla chiusura una “sfida di idee” fra i lettori per trovare qualche utile riutilizzo dell’area mentre la politica si divide fra le volontà regionali e quelle di Roma.

Le voci e lo sbaraccamento

Si parla di cittadella degli studi fra lo scetticismo di milanesi e studenti sull’area definita una “brutta zona”, delle proposte del governo per accorpare in quell’area uffici pubblici fra cui Agenzia dell’Entrate e Demanio e per cui si pagano affitti nel milanese, si parla del vincolo ad area verde che dovrebbe preservare oltre la metà dei terreni come parchi. Voci, e poche certezze.

Fra queste ciò che rimane dell’Expo e quello che si sbaracca. Rimarrà il cosiddetto Albero della Vita, il colosso di 200 tonnellate di acciaio e legno lamellare di larice, troppo difficile da smontare. Rimangono anche il Padiglione Zero e Palazzo Italia, destinati a riaprire la prossima primavera. Il destino degli altri padiglioni è la demolizione o il riutilizzo a Milano o all’estero, gettonatissima l’Africa come destinazione finale dei prefabbricati. Alcuni parchi milanesi ospiteranno invece alcune strutture riadattate per venire ospitate nei parchi giochi per i bambini.

I due dossier fantasma

Sul futuro dei 1.048.000 mq di Expo esistono almeno due dossier.

Il dossier di 29 pagine preparato da Cassa depositi e prestiti e Agenzia del Demanio e caldeggiato dal governo è stato presentato su alcuni organi di stampa ma non è facilmente reperibile online. Il progetto assegna agli uffici statali 110.000 mq, al Polo tecnologico e centro di ricerca agroalimentare (pubblico-privato) 104.500 mq, all’università Statale e all’annesso ostello 215.000 mq. I restanti seicentomila metri quadri dovrebbero rimanere area verde. È un dossier fatto ad uso e consumo delle istituzioni su cui Governo e Regione Lombardia si confrontano insieme ai privati, potenziali utilizzatori dell’area del Polo tecnologico.

Il secondo dossier è di 25 pagine ed è scritto interamente in inglese con il titolo Human Technopole. Italy 2040 che prevede una collaborazione con l’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova. È stato annunciato ieri a Milano dal presidente del Consiglio ma il dossier nella sua interezza come il primo ad oggi non è reperibile pubblicamente online.

Intanto che aspettiamo che i due dossier vengano divulgati nella loro interezza sappiamo che il dossier 2040 prevede un investimento di 150 milioni di euro l’anno da parte del governo per dieci anni e che la genomica e l’agronomia saranno due settori in cui si vorrà investire. Per non tradire il motto di Expo Nutrire il pianeta già messo in discussione dalla distruzione di terreno agricolo per far spazio alla fiera e da un legame che è parso inappropriato fra l’organizzazione e alcune multinazionali del cibo-spazzatura.

Giancarlo Costa

Snowboarder, corridore di montagna, autore per i siti outdoorpassion.it runningpassion.it snowpassion.it e bici.news. In passato collaboratore della rivista SNOWBOARDER MAGAZINE dal 1996 al 1999, collaboratore della rivista ON BOARD nel 2000. Responsabile tecnico della rivista BACKCOUNTRY nel 2001. Responsabile tecnico della rivista MONTAGNARD e MONTAGNARD FREE PRESS dal 2002 al 2006. Collaboratore della rivista MADE FOR SPORT nel 2006.