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Sono il signor Wolf, risolvo problemi


Nel celebre film di Quentin Tarantino, c’era un personaggio particolare che è rimasto nella storia del cinema con la sua presentazione: Sono il signor Wolf, risolvo problemi. Questo personaggio era incaricato di far sparire un cadavere. Un po’ quello che ha fatto, nella storia, il lupo.
Il lupo è un risolutore di problemi. O almeno ci prova. Il lupo arriva e da professionista aggiusta i guasti causati dall’inesperienza o dalla imperizia di altri (di solito, umani). Come il personaggio di Pulp Fiction, talvolta usa sistemi un po’ drastici e poco popolari.

Gli anni del ripopolamento

Alla fine della Seconda Guerra mondiale, i grossi ungulati non c’erano più, estinti dalla presenza umana che aveva sottratto loro gli habitat, per coltivare ogni pezzetto di terra disponibile e tagliare il bosco per trarne legna da ardere o da lavorare, oltre che averli cacciati visto che gli anni non erano certo quelli dell’abbondanza di cibo e di supermercati. Quindi c’erano pochi caprioli, cervi, stambeccho e cinghiali. Nel Dopoguerra, Alpi e Appennini sono stati abbandonati dagli abitanti che cercavano lavoro e opportunità in città e in pianura. Territori coltivati e regimati da secoli hanno improvvisamente visto sparire gli esseri umani. A parte qualche anziano e qualche commerciante, prima del boom turistico, i frequentatori assidui di colline e medie montagne erano rimasti i cacciatori, senza più prede.
Ecco allora che in tutta Italia enti pubblici e aziende private si sono dati da fare per ripopolare la fauna selvatica. Talvolta sono state introdotte specie non presenti in precedenza, come il muflone in Val Chisone e nelle Valli di Lanzo.
La Provincia di Torino fece da pioniere. Agli inizi degli Anni ’60 scelse l’abetina del Gran Bosco di Salbertrand (poi parco naturale dal 1980) per reintrodurre una dozzina di caprioli e di cervi acquistati in Jugoslavia (oggi Slovenia). Negli anni seguenti, l’assenza dei predatori naturali,il regime di tutela assoluto, i nuovi habitat ritornati tranquilli per le migrazioni umane e l’abbondanza di cibo (i pascoli non erano più brucati da pecore e bovini o tagliati per il fieno), favorirono la diffusione dei nuovi arrivati. Nei 2500 ettari del parco le popolazioni aumentarono in modo esponenziale arrivando a centinaia di capi alla fine degli anni ’70.

Il problema dei danni

I caprioli e i cervi rilasciati all’interno del Gran Bosco si riproducevano e continuavano a rimanere nella stessa area. Ben presto sono cominciati i problemi. I cervi compromettevano il rinnovo dell’abete bianco brucando i germogli e gli apici delle piante giovani, scortecciando i tronchi di quelle mature per nutrirsi della corteccia, in inverno, o per liberarsi dal velluto del nuovo palco, in estate, spiega Elisa Ramassa, responsabile faunistico delle Aree Protette delle Alpi Cozie. I censimenti dell’epoca, svolti prima dal solo ente parco e poi anche dai comprensori alpini di caccia via via formatisi intorno all’area protetta, certificavano ogni stagione incrementi del 15-20%. La soluzione, poi, è stata controversa: Si decise di catturare e traslocare altrove alcuni capi e di iniziare ad abbattere quelli in eccesso, ricorda la Ramassa. Un rimedio estremo, non esente da critiche, discussioni e ricorsi al T.A.R.
Il divieto di cacciadentro i parchi è una caratteristica universale, la più uniforme visto che altre norme possono variare per ogni area protetta. La scelta di derogare è sempre sofferta, non è mai presa a cuor leggero. Deve essere approvata a livello nazionale e segue protocolli rigorosi, precisa Michele Ottino, direttore delle Aree Protette delle Alpi Cozie. Infatti, non era una caccia indiscriminata:Si faceva selezione, i cacciatori dovevano essere formati ed erano sempre accompagnati dai guardiaparco che decidevano quale era il capo da abbattere. In alcuni periodi dell’anno, poi, erano solo questi ultimi a sparare, aggiunge la responsabile della gestione faunistica di Salbetrand. Un aspetto non trascurabile, secondo Ottino, vista la cronica carenza di fondi degli enti pubblici: I cacciatori, oltre alla cifra in base al peso del capo abbattuto e al trofeo nel caso dei maschi, versavano una quota per il solo fatto di aver ottenuto l’autorizzazione di entrare armati in un territorio altrimenti vietato.

In ogni caso, il sistema non sembrava portare i risultati attesi.
I danni si ripetevano di anno in anno e i censimenti primaverili del 1995 toccarono l’apice di 240 cervi nel solo Gran Bosco (oggi se ne contano circa 100). Gli abbattimenti erano comunque serviti a obbligare gli animali a uscire dall’area protetta, irraggiandosi anche all’esterno. Gli abbattimenti all’interno del parco sono durati dal 1983 al 2005 uccidendo 711 capi e ferendone 31. Nel solo 1995 vennero eliminati 80 cervi, soprattutto femmine, racconta Elisa Ramassa. Quando sono terminati, tutti hanno tirato un sospiro di sollievo perchè si era creata una situazione non più sostenibile che è andata migliorando da quando è arrivato il lupo, predatore naturale e grazie al costante prelievo venatorio all’esterno del parco. L’episodio decisivo è stato vissuto dai guardiaparco che, durante una battuta verso un gruppo di femmine, hanno visto allontanarsi alcuni lupi che avevano lo stesso obiettivo ‘selettivo’.
Il ritorno del predatore naturale
Diventò evidente che non c’era più bisogno di due predatori e l’abbondanza di prede selvatiche aveva favorito il ritorno del lupo. La prima riproduzione accertata in provincia di Torino è stata confermata proprio nel Gran Bosco di Salbertrand nel luglio del 1997, tramite la tecnica del wolf-howling (lanciare ululati artificiali a metà estate in zone disabitate dove si suppone la presenza di un branco di lupi, per indurre un’eventuale risposta la cui registrazione permette di distinguere le voci degli adulti da quelle dei nuovi nati). Nell’inverno seguente vennero filmati alcuni adulti sullo spartiacque tra la Val Susa e la Val Chisone. Dall’inizio del nuovo millennio, la Val Susa ospita 3 branchi stabili, di cui 2 in alta/media valle.

La loro presenza ha portato risultati quasi immediati. In pochi anni la popolazione dei cervi è stata assestata, ma senza compromettere la loro consistenza: infatti sono regolarmente oggetto dell’attività venatoria di selezione (fuori dai parchi) che ha ridotto il numero degli abbattimenti. L’effetto più significativo è stato, però, sul comportamento delle prede. I cervi si erano abituati a stazionare sempre nelle stesse aree più comode e appetibili, a mostrarsi all’aperto in ogni ora del giorno e il lupo ha spazzato via questi difetti: oggi i cervi formano nuclei piccoli, sono diffidenti, si nascondono velocemente e – cosa più importante di tutte – si spostano di continuo. Mantengono l’abitudine a formare grossi gruppi divisi per sesso solo appena dopo il periodo delle nascite, quando le femmine sentono più vulnerabili i cuccioli. In questo modo, il potenziale danno alle giovani piantine di abete bianco e alle altre conifere è distribuito nello spazio e nel tempo. Oggi la presenza degli ungulati risulta compatibile con la rinnovazione, come dimostrato dai campionamenti effettuati per le recenti tesi di laurea in scienze forestali seguite dal parco. Dunque il lupo ha svolto un servizio da professionista competente: rapido, efficiente, economico.
Certo, come con Mr. Wolf, non tutto fila liscio. Le prede costantemente in allarme per il predatore, non sono più facilmente cacciabili anche gli umani, che se ne lamentano. Talvolta il lupo preda animali domestici, soprattutto pecore, se lasciati incustodite. Potrebbe mangiare meno caprioli che stanno diminuendo – dicono alcuni – e concentrarsi sui cinghiali che invece sono innumerevoli. In realtà il capriolo è in espansione in tutta la penisola, come certifica ISPRA, l’Istituto Superiore per la Ricerca e Protezione Ambientale.
Se localmente qualcuna di queste popolazione diminuisce, non è solo colpa del lupo: sono animali che prediligono radure aperte in mezzo a boschi tranquilli e queste si stanno riducendo per l’abbandono delle colture tradizionali e la spinta alla crescita degli alberi dovuta (anche) alle maggiori concentrazioni di CO2 degli ultimi decenni. Inoltre, patiscono la competizione con il pascolo degli animali domestici allevati dall’uomo. Quanto al cinghiale, il lupo talvolta caccia i giovani ma il suo tasso di riproduzione è superiore alla capacità di regolazione del predatore, mentre contro un adulto da 70 chili non ci si mette nemmeno.

Il lupo risolutore di problemi?

ll lupo, come Mister Wolf del film di Pulp Fiction, non è esattamente uno “stinco di santo”. Il ritorno del lupo produce effetti non solo sulle sue prede dirette ma anche sugli habitat che queste utilizzano; seleziona gli esemplari deboli o anziani, migliorando la tonicità degli ungulati a vantaggio della loro stessa salute; contiene espansioni eccessive di altri predatori come volpi o sciacalli; costringe a migliorare i comportamenti di tutti gli utilizzatori del territorio, si tratti di pastori, cacciatori, escursionisti, ciclisti, guide alpine, operatori forestali, amministratori, guardie. Nulla è più come prima, quando torna il lupo.

Fonte Piemonte Parchi

Giancarlo Costa

Snowboarder, corridore di montagna, autore per i siti outdoorpassion.it runningpassion.it snowpassion.it e bici.news. In passato collaboratore della rivista SNOWBOARDER MAGAZINE dal 1996 al 1999, collaboratore della rivista ON BOARD nel 2000. Responsabile tecnico della rivista BACKCOUNTRY nel 2001. Responsabile tecnico della rivista MONTAGNARD e MONTAGNARD FREE PRESS dal 2002 al 2006. Collaboratore della rivista MADE FOR SPORT nel 2006.