Il racconto della salita al Monte Elbrus
Siamo in vetta, sono le 8,30. Il sole splende e ci dimentichiamo che siamo a – 15°. La montagna, oggi ci ha permesso di godere la sua maestosa bellezza.
La vetta è quella del Mt. Elbrus a quota 5642 metri, situato nel sud della Russia nella Repubblica Federata Kabardino – Balkaria. La sua posizione isolata a soli 10 km. dallo spartiacque caucasico (naturale confine tra Europa e Asia) ne fanno la vetta più alta d’Europa e quindi membro di diritto del club delle “Seven Summits” , le cime più alte dei sette continenti.
Dal punto di vista alpinistico non presenta grandi difficoltà tecniche, ma per la sua altezza e prestigio è considerata fra gli alpinisti di tutto il mondo una meta ambita.
Con Stefania ed Ivan, il nostro amico ex-russo, abbiamo organizzato questa trasferta e una volta arrivati a Terksol, declinata gentilmente la proposta di alcuni alpinisti locali per effettuare un periodo di acclimatamento, abbiamo preferito salire subito con la funivia al rifugio Garabashi ( 3.800 mt. ) Breve sosta per mangiare al Rifugio Mir (3.500 mt.) . Il mattino successivo saliamo sino a quota 4.500 e poi scendiamo di nuovo al Garabaschi per riposare un po’. Con un meteo che prevedeva una finestra di bel tempo di due giorni, decidiamo di partire il giorno successivo, il primo utile per raggiungere la vetta , alle 02,00 della notte, limpida e stellata.
Usiamo le frontali ma potremmo farne anche a meno.
Ivan resiste sino a quota 5.300, in corrispondenza della sella fra la cima est (5.621 mt.) e la cima ovest (5.642 mt) poi decide di scendere. Quando lo raggiungeremo al rientro si è ormai ripreso ed è comunque contento e soddisfatto.
L’ultimo tratto è quello più duro, una parete di circa 30° / 35° ci porta diritti sull’ultimo pianoro, dove vediamo finalmente la vetta; ormai è fatta.
E’ il momento più bello: quando non si è ancora avverato un desiderio, ma vedi che stà per avverarsi.
A Stefania sfugge una lacrima di gioia; per migliaia di chilometri, a perdita d’occhio è tutto sotto di noi. I piedi toccano ancora terra, ma con un dito possiamo toccare il cielo, una bella sensazione, condivisa con mia moglie.
Di Roberto Mattioli