Qualità dell’aria in Italia: i combustibili fossili continuano a soffocare le nostre città
Secondo il rapporto europeo sulla qualità dell’aria, dal 1990 al 2012 la qualità dell’aria in Europa ed in Italia è migliorata sensibilmente. Gli obiettivi di riduzione del 2010 sono stati sostanzialmente rispettati mentre su quelli del 2020 c’è ancora qualche ritardo. Nonostante questi progressi, le concentrazioni rimangono elevate, specialmente nelle città e nella pianura padana. Andiamo a scoprire quali sono per l’agenzia europea dell’ambiente i principali nemici della nostra salute nelle città.
Gli ossidi di azoto (NOx) sono perlopiù prodotti nella produzione di energia e nell’autotrazione: grazie a motori e combustibili meno inquinanti dal 1990 ad oggi si è avuto un crollo di oltre la metà delle emissioni. Il diossido di azoto viene rilevato prevalentemente nelle stazioni adiacenti a tratti stradali trafficati.
I PM10 e i PM2.5 sono particelle inferiori rispettivamente a 10 e 2.5 micron (millesimi di millimetro): queste particelle, solide e liquide, fanno parte del particolato dovuto prevalentemente alla combustione ma anche all’uso di sali sul manto stradale e materiali che compongono gli pneumatici. Provocano asma e disfunzioni cardiocircolatorie se inspirate e più sottili sono le polveri, più numerosi sono gli organi in cui si possono depositare (a partire dalla trachea fino ad arrivare ai bronchi). L’Agenzia Europea per l’Ambiente stima che in Italia i PM2.5 siano emessi durante la produzione di energia elettrica e termica (66%) e nei trasporti (17%).
L’ozono (O3) è prodotto di reazioni precedenti che avvengono in atmosfera e non viene liberato direttamente a differenza di altri inquinanti, e analogamente ai PM10 subisce variazioni non sempre direttamente correlate alle emissioni inquinanti, ad esempio per variazioni climatiche e meteorologiche, risultando più imprevedibili.
Limiti delle città, le città al limite
L’utilizzo di combustibili fossili sia per la produzione elettrica e terminca che per l’autotrazione si trasforma in danni ambientali e impatti sulla salute importanti. I centri urbani, specialmente grandi, si dimostrano esporre i propri cittadini a ambienti insalubri e ad un maggiore rischio sociale rispetto ai centri più piccoli o alla campagna. Assistiamo quindi a una rivalutazione dei centri abitati più a misura d’uomo, mentre le nuove generazioni, laureati inclusi, stanno riscoprendo l’agricoltura nei piccoli centri.
Grazie al telelavoro e alle tecnologie della rete sarebbe possibile ridurre pendolarismo, emissioni inquinanti e qualità della vita delle persone anche nei lavori a più alta tecnologia, evitando l’assembramento e la disumanizzazione dei grandi centri urbani, spesso sequestrati dalle automobili e dalla ghettizzazione di gruppi etnici e disparità sociali. Solo se le politiche ambientali si salderanno con un cambiamento di paradigma del lavoro e dello stile di vita si avranno risultati duraturi sulla qualità della vita e sull’ambiente.
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