Marco ed Elena continuano la loro avventura e passano il Circolo Polare Artico (parte 3)
Eccoci con la terza parte del racconto di Marco ed Elena, i due continuano la navigazione in canoa, le temperature iniziano a farsi sentire e l’estremo nord si sta avvicinando sempre più, tra poco lasceranno le canoe per iniziare il lungo tragitto in bicicletta.
Il mattino seguente la temperatura è scesa drasticamente, ci sono 6°C, ma il sole scalda rapidamente l’aria e la temperatura diventa più mite. Avvistiamo un’esemplare femmina di Alce, è enorme, mangia tra i cespugli ma sembra non curarsi della piccola canoa che scende sul fiume. Continuando il nostro viaggio immersi in paesaggi splendidi l’ampiezza del fiume ha raggiunto dimensioni tali da farci sentire un piccolo puntino in mezzo a questa immensità. Una sensazione di infinito e meraviglia ci accompagnano.
Alla sera ci fermiamo per l’ultimo campo in un posto popolato solo da nuvole di zanzare, per fortuna i repellenti riescono a tenerle a bada! L’ultimo giorno di canoa ci porta fino a Carmacks, la nostra meta, un villaggio di 400 ab., il primo che incontriamo dopo 320km di discesa. Il fiume Yukon, finita l’epoca della corsa all’oro, è tornato ad essere ciò che era, un ambiente selvaggio e naturale. Le tracce del tempo passato che hanno fatto la storia di questo fiume e di questa regione, sono ancora visibili lungo le rive: villaggi abbandonati, draghe per l’estrazione dell’oro, attrezzi utilizzati dai cercatori ,sono alcune delle cose che si incontrano navigando. Ora tutto tace nuovamente e tu, piccolo uomo, attraverso questo viaggiare diventi parte della Natura.
Il tempo di lasciare a terra le canoe, fare rifornimento di viveri, preparare le bici e partiamo lungo la Klondike Hgw: ci aspettano 350km di una larga e solitaria strada asfaltata prima di raggiungere il bivio per la Dempster Hgw. Impieghiamo 3 giorni per arrivare all’incrocio, accompagnati dalla pioggia che va e viene. A metà strada ci fermiamo a Pelly Crossing, un piccolo villaggio di nativi e per fare asciugare la tenda e quello che indossiamo, decidiamo di trascorrere la notte in una piccola capanna di legno dove due tedeschi hanno già acceso il fuoco. Il rifugio di fortuna è sporco, l’immondizia a terra abbonda ma almeno siamo al riparo e al caldo. I due ragazzi hanno appena concluso il loro viaggio con il kayak in completa solitudine, sul fiume Pelly.
Ci sediamo intorno al fuoco condividendo la cena e ognuno racconta le proprie avventure…l’uomo più anziano ci mostra anche i due fucili che porta sempre con se per difendersi dagli orsi, sicuramente sono due personaggi caratteristici!
Il giorno in cui partiamo per la Dempster siamo accompagnati dal sole, un lungo sospiro per scaricare l’adrenalina davanti al cartello che indica “Inuvik 735 km”; siamo consapevoli che lungo questa strada bianca non incontreremo nulla, un’unica area attrezzata a metà percorso. Abbiamo con noi tutto ciò che ci serve per affrontare il lungo tragitto. Dopo l’intera giornata di continui saliscendi montiamo il campo all’interno del Tombstone Territorial Park, un’area naturale dedicata alla salvaguardia dell’ambiente e delle specie viventi. L’aria è frizzante, ci troviamo a 1000m. di quota e per la prima sera non siamo assaliti dalle zanzare. Il mattino seguente affrontiamo la salita che porta al North Fork Pass (1289m.) il punto più alto della Dempstrer Hgw. Il paesaggio cambia completamente lasciamo i boschi di abete per attraversare un altopiano dai variopinti colori; una volpe dorme sul ciglio della strada e al nostro passaggio alza appena la testa per poi nasconderla di nuovo sotto la folta coda.
In undici ore, non abbiamo mai percorso più di qualche Km. guardando la strada, l’ambiente meraviglioso attrae la nostra vista, quello che più colpisce è il colore dell’acqua trasparente e limpida, i torrenti sono cristallini. Anche questa notte è fredda e al mattino troviamo le nostre biciclette imbiancate dal ghiaccio. Ripartiamo indossando l’abbigliamento pesante, ma dopo 50 Km. la lunga salita ci fa dimenticare il freddo e ci obbliga a spingere la bici per alcuni tratti. Le mountain bike pesano circa 40kg. l’una, il cibo disidratato non è sufficiente a reintegrare tutte le energie che bruciamo e poco prima del colle vado in crisi ipoglicemica, faccio fatica persino a spingere la bicicletta a piedi, mi mancano le forze. Mangiando un po’ di miele e bevendo dei sali minerali riesco a recuperare ed arrivare fino al panoramico altopiano dove decidiamo di montare la tenda; giusto in tempo per metterci al riparo e inizia a piovere.
La tappa successiva è tutta un continuo su e giù sulla cresta delle montagne, non si trova acqua corrente, solo degli stagni dai quali siamo costretti a filtrare l’acqua per avere qualcosa da bere. Arriviamo a Eagle Plane sotto la pioggia, ma per fortuna qui c’è un distributore con un ristorante dove possiamo mangiare abbondantemente. Siamo a metà strada, abbiamo impiegato quattro giorni per raggiungere Eagle Plane, la prima e unica stazione di servizio che si trova sulla Dempster. Il risveglio successivo è accompagnato dal rumore delle gocce di acqua che rimbalzano sulla tenda, oggi
dobbiamo attraversare il Circolo Polare Artico e le condizioni sono pessime. Partiamo sotto una pioggia battente, il fango inizia ad incollarsi alla bici, e la progressione risulta più faticosa del solito. Non mancano le estenuanti salite e non riusciamo a percorrere più di 50-100 m. senza doverci fermare per rimuovere il fango dalla catena, dal cambio e dalle borse.
Marco è costretto ad inventare un “rimuovi fango” con alcuni rami legati alla sua mountain bike per riuscire a pedalare, la bicicletta così incrostata e carica di fango è pesantissima e sulle salite siamo ormai costretti a scendere dal mezzo e spingere. Non funziona più niente, tutti i pezzi meccanici sono stretti in una morsa di cemento! A fatica riusciamo ad arrivare al Circolo Polare Artico, non importa quanto stiamo faticando, l’emozione è più grande della sensazione di disagio, inoltre ha smesso di piovere ed è uscito il sole e questo ci fa sperare di riuscire a proseguire più velocemente non appena la strada si sarà un po’ asciugata. Ci guardiamo intorno per 360°, niente più vegetazione fitta, inizia la Tundra e le nuvole e il cielo sembrano più vicini a noi, hanno una prospettiva diversa dovuta alla latitudine a cui ci troviamo. Anche se con difficoltà raggiungiamo la tappa prevista, è ormai sera non ci resta che montare il campo e lavare le biciclette nel torrente e sistemarle per il giorno successivo.
Ci dirigiamo sempre più a nord attraverso il Wright Pass, 17km di salita e 1000m. di dislivello per raggiungere il confine tra Yukon e North West Territories dove dobbiamo spostare avanti di un’ora le lancette dell’orologio. Il paesaggio è di una bellezza grandiosa, inoltre è l’area di maggior concentrazione di Caribù e incontriamo diversi cacciatori a caccia di questo splendido cervide. Anche gli orsi Grizzly sono particolarmente presenti in questa zona attirati dall’odore del sangue. I cacciatori scuoiano la loro preda direttamente sul posto, la dividono a pezzi per poterne trasportare il corpo pesante attraverso le ampie distese; spesso abbandonano anche la testa con le possenti corna, a loro non interessa il trofeo,cacciano per necessità e sopravvivenza. In questi territori estremi il Caribù è ancora la principale fonte di sostentamento per molti indiani, dall’animale ricavano cibo, pellame per scaldarsi in inverno e attrezzi da lavoro costruiti con i tendini e le ossa. L’evoluzione ha sicuramente portato anche qui dei progressi e mezzi migliori, ma le loro tradizioni rimangono comunque vive e attuali. Campeggiamo vicino a Fort McPherson, un piccolo ed essenziale villaggio indiano circondato solo da paludi.