Kilimangiaro, l’Africa vista dall’alto
Il richiamo verso l’alto ti porta, appena puoi, a “staccare la spina” per respirare un po di aria fine. Questa volta la meta è una delle “Seven Summit” più facili, il Kilimangiaro in Tanzania, la più alta e famosa montagna del continente Africano.
Scrittori, esploratori, studiosi, missionari hanno raccontato e descritto le grandi bellezze di questa grande montagna che con i suoi parchi e foreste si erge sullla savana, terra dei Masai che con le loro linee e fierezza tanto affascinano noi occidentali.
Delle sei vie di salita al Kilimangiaro scegliamo la “Via Machame” , probabilmente il più bell’itinerario dal punto di vista panoramico, ma anche il più lungo ed il più impegnativo con i suoi 43 km da percorrere per raggiungere la cima ed oltre 5200 metri di dislivello positivo in alta quota.
Arrivati in serata al Kilimangiaro Airport di Arusha, raggiungiamo con un pulmino Moshi, una piccola città di 70000 abitanti dei quali un terzo è dedito alle escursioni sul Kilimangiaro ed ai safari nella savana.
Il giorno successivo lo dedichiamo ai preparativi dei materiali e degli zaini da consegnare ai portatori che non devono superare il peso di 10 /12 kg
Con Stefania, facciamo conoscenza degli altri due compagni di avventura, Andrea e Matteo due cordiali e simpatici ragazzi di Alba, coi quali facciamo subito amicizia.
L’indomani con la massima calma tipica di questi luoghi, arriviamo dopo circa un’ora di viaggio col pulmino alla Machame Gate (Quota 1820 metri) e dopo aver espletato le formalità burocratiche per l’accesso al parco iniziamo la nostra salita, seguendo un largo sentiero in mezzo ad una lussureggiante foresta. Sugli alberi diverse famiglie di “blue monkey” , scimmie con un manto nero e sfumature blu, molto agili e belle.
E’ la prima volta che per salire su una montagna dobbiamo appoggiarci ad un’agenzia, ma per salire sul Kilimangiaro è l’unico modo possibile, è una fonte di lavoro e di reddito per tanti Tanzaniani.
Per me, Stefania, Andrea e Matteo abbiamo a disposizione 8 portatori, 1 guida, 1 aiuto-guida, 1 cuoco e 1 aiuto-cuoco ; 12 persone in totale. I portatori ad ogni campo montano e smontano le tende e tutti sono strettamente inquadrati ed agli ordini della guida, un giovane di 29 anni che ne dimostra 20 che si chiama Issa, molto cordiale e gentile come d’altronde tutti i tanzaniani che abbiamo incontrato, un popolo sempre sorridente e molto educato.
Dopo le prime due ore di cammino, inizia a piovere; una pioggia che ci accompagnerà ininterrottamente per tutta la salita e discesa, per lasciare posto sopra i 4400 metri alla neve, sino ai 5500 metri di quota, dove una volta bucate le nuvole si torna a vedere il sole.
Dopo circa 14 km, raggiungiamo a fine pomeriggio il primo campo a quota 3000, Capanne Machame dove in tenda, ci asciughiamo, mangiamo e dormiamo.
Secondo giorno: riprendiamo il sentiero su una ripida cresta che porta ad una gola e successivamente sale sull’altopiano dello Shira. E’ il giorno con il percorso più corto, meno di 10 km ma decisamente ripido. La vegetazione è più bassa, le piante non superano i quattro metri di altezza. Intuiamo che il panorama sottostante deve essere stupendo, ma la pioggia e le nuvole basse non permettono che d’intuirlo.
Sempre con grande calma arriviamo dopo circa 5 ore alla capanna Shira a quota 3900 metri. In attesa della cena non ci rimane che leggere il libro che ci siamo portati dentro al sacco pelo per riscaldarci dalla pioggia non proprio calda a quella quota. Sono veramente bravi a cucinare dentro una tendina alta un metro, da dove esce fumo e vapore. Già è difficile capire come riesce ad entrarci il cuoco, un simpatico omone altro 1 metro e 90 centimetri per almeno 120 kg.
Tutto quello che preparano però è buono; Matteo che di professione è cuoco lo conferma.
Terzo giorno: è una giornata abbastanza impegnativa, il percorso è lungo e saliamo sino ai 4700 metri di Lava Tower. A quota 4400 la pioggia lascia il posto alla neve. Il paesaggio ormai è tipico dell’alta quota, il limite della vegetazione in questi luoghi arriva ai 4000 metri. A Lava Tower troviamo alcune tende di escursionisti saliti da un’altra via. Cerchiamo riparo sotto alcune rocce per mangiare qualcosa.
La nostra guida Issa, ci dice che dopo essere salito per una cinquantina di volte sul Kilimangiaro, è la seconda volta che trova freddo e tanta neve così.
Dopo una lunga discesa arriviamo a Barranco Camp a quota 4000, il freddo più della quota mi ha un po affaticato. Ci riscaldiamo nei sacchi a pelo in tenda, anche se l’umidità ormai è dappertutto.
Festeggiamo il Capodanno con una bottiglia di vino frizzante sudafricano che Issa ha pensato bene di portare.
Non ho mai bevuto così poco in vita mia, ma la quota ti toglie la voglia di vino.
Ripartiamo all’inizio del quarto giorno con nuvole ancora basse, ma per alcune ore la pioggia ci concede una tregua. Saliamo la grande parete Barranco, forse il pezzo più impervio dell’intero percorso, ma comunque molto facile e da qui con diversi saliscendi arriviamo alla valle Karanga. Qui ci fermiamo un’oretta per mangiare qualcosa di caldo, la pioggia ha ripreso. Normalmente si monta un campo, ma noi invece proseguiamo sempre con saliscendi che ci portano dopo un’ultima ripida salita al Barafu Camp a quota 4.700 mt
Questo è l’ultimo campo prima della vetta.
Come arriviamo vediamo alcuni escursionisti che scendono sorretti ai lati dai portatori; la loro espressione non è delle più felici e vivaci.
All’imbrunire mangiamo qualcosa di caldo e cerchiamo inutilmente di dormire un paio d’ore, ma il rumore fuori dalle tende ce lo impedisce.
Alle 23 ci alziamo e a mezzanotteci partiamo per la vetta
Sino qui siamo andati tutti veramente bene, ma dopo un paio d’ore Stefania comincia ad accusare la stanchezza, probabilmente non ha recuperato ed il fatto di aver saltato un campo non è stata una bella scelta.
La via di salita lunga e le condizioni meteo non buone hanno fatto il resto.
Poco sopra 5000 ci dividiamo; Andrea e Matteo proseguono con l’altra guida Yusufu,
io e Stefania più lentamente con Issa.
Ancora 200 o 300 metri ma poi Stefania decide di rinunciare, manca ancora troppo alla cima ed è il tratto più ripido.
Scende con Issa a Barafu Camp ed io proseguo da solo. Ho un senso di sconforto per la rinuncia di Stefania ma in questi ambienti bisogna sapersi gestire e conoscersi bene interiormente.
Per un momento si intravedono lontane e profonde le luci di Moshi, l’aria è tersa e fine, anch’io mi sento un po stanco ma nello stesso tempo la mente è fortemente motivata e le sensazioni della quota sono difficili da spiegare.
Alle 7 del mattino sono a “Stella Point” (5.765 mt) per ammirare il sorgere del sole che sbuca sul mare di nuvole sottostante , il paesaggio è magnifico. Per salire gli ultimi 150 metri che mancano per raggiungere “Uhruru Peak” a quota 5.895 mi ci vorrà circa un’altra ora, sono un po’ stanco.
Incontro Andrea e Matteo con Yusufu che hanno iniziato a scendere.
Quando arrivo in vetta lo spettacolo è grande; l’immenso cratere sottostante da un lato e quel che rimane dei ghiacciai perenni dall’altro lato sono una meraviglia della natura e tutto questo ti fa sentire veramente piccolo.
Dopo le foto di rito ed alcuni momenti per ammirare il paesaggio, inizio a scendere con Yusufu che mi ha aspettato. La discesa in parte la corro e in meno di due ore sono di nuovo a Barafu Camp da dove ripartiamo dopo poche ore per scendere ad un campo intermedio a 3.000 metri di quota ed il giorno successivo a valle.
La salita al Kilimangiaro non ha particolari difficoltà, se non la quota, e per questo moltissimi escursionisti intraprendono la salita senza la preparazione necessaria e senza una conoscenza delle proprie capacità e dei propri limiti.
Non ho mai visto tante persone stare male come questa volta che con espressioni stralunate e assenti, venivano portate a valle da due o tre portatori.
Poco sotto Barafu Camp c’è un deposito di alcune decine di “Kilimangiaro ambulance” , una sorta di barella con una ruota ammortizzata da moto utilizzata per trasportare a valle coloro che stanno male.
Abbiamo fatto una prova, per scherzo, e vi assicuro che è bene tornare presto in forza e salute e scendere con le proprie gambe.
Di Roberto Mattioli