Inquinamento in cucina: uno studio evidenzia la pericolosità del carbone, l’energia solare corre in soccorso
La Cina è diventata le fabbrica del mondo. A ricordarcelo la cappa di smog su Pechino, le fabbriche da migliaia di dipendenti e un inquinamento atmosferico dovuto all’industria sempre più preoccupante. Uno studio dei ricercatori dell’istituto tedesco Max Planck e dell’Harvard School of Public Health recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Nature dipinge però un quadro differente e sconcertante.
Secondo i ricercatori la maggior parte delle polveri sottili (PM 2.5) responsabili del maggior numero di decessi sono prodotti dai primitivi metodi di cottura dei cibi e di riscaldamento domestico che caratterizzano questi due grandi paesi divisi fra modernità e arretratezza. L’uso del carbone in particolare è estremamente dannoso alla salute così come l’utilizzo di legna e altre biomasse consumano risorse limitate con gravi danni per le popolazioni e l’ambiente.
L’uso di combustibili improvvisati ed economici da parte di una popolazione povera espone ad un inquinamento domestico che nei paesi in via di sviluppo è quattro volte più consistente dell’inquinamento atmosferico esterno come documentò nel 2009 uno studio sul Burkina Faso pubblicato su Global Health Action dell’università di Umeå, Svezia.
L’inquinamento industriale è stato più volte oggetto di attenzioni come quello per i trasporti, interesse che non ha invece riguardato l’inquinamento domestico. Quando il dito si è puntato sulle utenze domestiche sono piovuti i fischi di chi vedeva in quell’accusa un “benaltrismo” in difesa dell’apparato industriale. Nel 2013 lo ha imparato a proprie spese l’allora direttore dell’ufficio affari esteri di Pechino Zhao Huimin che additava fra i responsabili della cappa pechinese i fornelli. Aveva ragione.
Cucinare in modo diverso è possibile e proprio nei paesi in via di sviluppo fioriscono le alternative. In India l’ecovillaggio di Auroville alimenta un grande forno solare per la cottura dei cibi che riduce del 20% l’energia necessaria a scaldare i mille pasti al giorno cucinati per le scuole e le famiglie comunità. Il risparmio è garantito da un concentratore solare che genera vapore per alimentare le cucine. Costruito nel 2005 grazie ai fondi del ministero indiano per le energie alternative e guidato da un computer, oggi raccoglie nell’ora di punta oltre 50kW termici.
I forni solari sono stati usati in un progetto sperimentale di Coopi / Politecnico di Milano anche nella recente crisi dei profughi siriani, contribuendo a fornire cibo caldo nei campi profughi di Libano, Haiti, Somalia, Repubblica Centrafricana. Questi progetti affiancano i già numerosi casi di successo nell’uso dell’energia solare per l’estrazione dell’acqua dalle falde in alternativa ai motori diesel e per l’illuminazione in alternativa all’uso delle lampade a kerosene.
Spesso ci sfugge come le dinamiche sociali e ambientali siano legate insieme e contribuiscano ai grandi drammi del nostro tempo. L’estrema povertà del continente africano alimenta i flussi migratori e una enorme quantità di intelligenza e lavoro umano è sprecata per provvedere ai più elementari bisogni: come disse la presidentessa del parlamento pan-africano Gertrude Mongella “una nazione non si industrializza se le donne e le bambine si caricano sulle spalle acqua e legna da ardere per provvedere alle proprie famiglie”. Che sia arrivato il tempo di un New Deal verde per l’Africa?