Il camoscio in inverno


Camoscio, nome scientifico: Rupicapra rupicapra. E’ uno degli animali più facili da incontrare, per quanto molto attento a non farsi mai avvicinare, durante una passeggiata in montagna, soprattutto sulle montagne piemontesi e del Trentino Alto Adige: oltre il 60 per cento dei camosci italiani si trova in questi territori, infatti. I tratti caratteristici sono: le corna dritte, sottili e scure, a sezione tondeggiante, uncinate all’estremità; il mantello molto scuro in inverno e tendente al rossiccio/giallastro in estate; la ‘mascherina’ bianca sul volto (naso e mandibola inferiore/gola). Capita frequentemente che gli escursionisti meno esperti scambino le femmine di stambecco per camosci. In realtà, le due specie sono completamente diverse: per le corna (più chiare, leggermente curve all’indietro, non uncinate, con una sezione diversa per forma e dimensione nelle stambecche), il mantello (marrone di altre tonalità), la dimensione (più tozze e pesanti).
In inverno indossa l’abito scuro
L”abito’ del camoscio, detto appunto mantello, è formato da pelo di due tipologie, come per gran parte degli animali con pelliccia. il pelo superficiale, lungo fino a 4 centimetri circa, che copre esternamente e ingloba una notevole quantità d’aria. Questa specie di ‘intercapedine’ isola l’animale termicamente. Questo pelo in inverno è più lungo, morbido e folto e molto scuro, apparendo quasi nero: in questo modo assorbe maggiormente il calore dei raggi solari. Il mantello estivo è costituito invece da peli più corti e ruvidi, di colore rosso/grigio/giallastro. Restano più scuri muso, laddove non è bianco, e arti.
Sia i maschi, in maniera più pronunciata, che le femmine sfoggiano anche la cosiddetta ‘barba dorsale’, una striscia di peli molto scuri e decisamente lunghi che si sviluppa sulla colonna vertebrale. La ‘barba’ viene rizzata dall’animale quando percepisce una situazione di pericolo o per mostrarsi dominante nei confronti di un rivale.
Sotto il pelo esterno, più aderente alla pelle, c’è quella che noi chiamiamo lana, dai filamenti molto sottili e tendenti al colore bianco. Questo è detto ‘primo pelo’: alla muta invernale si dirada (gli animali si grattano contro cespugli, cortecce, pietre per liberarsene e stare più freschi) e in quella autunnale si infittisce, per proteggersi dalle durissime condizioni invernali del loro habitat.
Un camoscio adulto è alto (al garrese) tra 70 e 90 centimetri, mentre misura una lunghezza complessiva (compresa la testa) di un metro-un metro e 30 centimetri. Il peso varia in base all’età e al sesso del soggetto, oltre che alla stagionalità (in inverno più magri che a fine estate): per i maschi possiamo andare da 28 ai 50 chilogrammi, per le femmine tra 25 e 40. Le differenze morfologiche tra i sessi sono ridotte: il maschio appare più massiccio, soprattutto nell’anteriore, e il collo ‘taurino’, la femmina ha un aspetto più sottile, slanciato.

Il camoscio ha oltre 200mila anni

I ritrovamenti fossili più antichi di camosci risalgono a circa duecentomila anni fa, sui Pirenei. La massima diffusione della specie risale invece a 80-12mila anni fa, al termine dell’ultima grande glaciazione, quando le condizioni climatiche avevano permesso a questa specie di conquistare tutta l’Europa centrale e centro-meridionale. La contrazione dell’areale climatico adatto portò all’isolamento di alcune zone ancora adatte alla vita del camoscio – Alpi e Pirenei, ad esempio – e quindi allo sviluppo di alcune sottospecie fino ai nostri tempi.
Malgrado questa lunga storia e la diffusione ampia, almeno in Italia dove esiste anche una sottospecie endemica dell’Appennino centrale, le conoscenze sui comportamenti di questo animale sono ancora oggetto di studi perché relativamente poco chiare, in particolare per quello che riguarda le aree di insediamento, l’utilizzo del tempo e i meccanismi e comportamenti che caratterizzano il periodo dell’accoppiamento.
Di sicuro, le attività sociali sono ridotte al minimo in particolare negli individui maschi. Nei primi 4-5 anni di vita, questi stanno in gruppi di due-tre individui, successivamente l’adulto maturo è solitario. Nella stagione più dura, quella invernale, i maschi tendono a trascorrere il loro tempo a quote inferiori.
Le femmine, vivono in gruppetti con i loro piccoli (ne partoriscono uno all’anno, rari i gemelli) e durante l’inverno frequentano quote più alte e soprattutto su terreni più impervi: qui la neve si ferma meno ed è più facile trovare cibo anche per i piccoli e la prole è più al riparo anche da potenziali predatori.

Età massima 25 anni

L’aspettativa di vita è potenzialmente di circa 25 anni, ma la media degli individui non supera i 15-16, date le durissime condizioni di vita. Uno dei fattori decisivi è il consumo della dentatura: senza una buona dentatura è impossibile procurarsi cibo e quindi l’animale con denti erosi e malandati non è in grado di sopravvivere a lungo.
La gestione del tempo è uno degli elementi più interessanti da comprendere nel ciclo di vita di questi animali. Quattro le fasi: nutrimento, riposo, spostamenti, attività sociali. Le ricerche svolte negli ultimi anni, in particolare tra Parco nazionale del Gran Paradiso e Parco delle Alpi Marittime, hanno mostrato una nettissima prevalenza del tempo dedicato al nutrimento e al riposo, sempre superiore al 90% del tempo totale, con una prevalenza del riposo rispetto ai periodi di nutrimento.

Camoscio, tanto riposo, poca vita sociale

Il comportamento, poi, cambia in base al ruolo sociale degli individui. Nei maschi ci sono soggetti territoriali – quindi che dominano un’area ben definita – e soggetti non territoriali. I primi manifestano grande aggressività indiretta (raramente il confronto arriva allo scontro fisico vero e proprio) in primavera per la conquista e l’insediamento nella zona migliore. Ma la definizione ‘migliore’ riguarda il potenziale attrattivo per le femmine nel successivo periodo di accoppiamento, ovvero novembre. Quindi, il maschio territoriale cerca di conquistare aree relativamente (alla tipologia di territorio in cui ci troviamo) ricche di cibo ma che siano potenzialmente ricche anche al momento dell’accoppiamento (quindi, ad esempio, con presenza di aree rupestri, dove l’eventuale neve non si ferma a coprire i vegetali di cui nutrirsi). I soggetti territoriali, manifesteranno di nuovo grande aggressività al momento dell’accoppiamento e concentreranno il massimo dell’attenzione al nutrimento in estate.
I soggetti non territoriali, invece, raggiungeranno il massimo dell’attenzione al nutrimento tra primavera e inizio estate, per andare gradualmente calando verso l’autunno e manifesteranno il massimo dell’aggressività al termine del periodo riproduttivo (fine novembre/dicembre) quando i maschi territoriali saranno dediti al riposo dopo il grande dispendio di energie e quindi troveranno maggiori opportunità di accoppiamento.
Al termine del periodo di accoppiamento, i maschi possono perdere circa un terzo del loro peso rispetto al massimo raggiunto nel mese di ottobre.
Importante da ricordare: mai spaventare o disturbare eccessivamente i camosci, come tutti gli animali selvatici, in particolare dalla fine dell’estate in poi. Ogni singola goccia di energia serve per superare il durissimo inverno. Se li costringiamo a correre per qualche minuto, tentando di avvicinarli troppo, questo potrebbe risultare loro fatale due o tre mesi dopo, quando il cibo sarà scarso e poco nutriente.

Fonte Piemonte Parchi

Giancarlo Costa

Snowboarder, corridore di montagna, autore per i siti outdoorpassion.it runningpassion.it snowpassion.it e bici.news. In passato collaboratore della rivista SNOWBOARDER MAGAZINE dal 1996 al 1999, collaboratore della rivista ON BOARD nel 2000. Responsabile tecnico della rivista BACKCOUNTRY nel 2001. Responsabile tecnico della rivista MONTAGNARD e MONTAGNARD FREE PRESS dal 2002 al 2006. Collaboratore della rivista MADE FOR SPORT nel 2006.