I Parchi Naturali costano agli italiani 1 euro e 35 centesimi ad abitante
È quanto emerge dal rapporto ‘Check-up Parchi nazionali italiani’ del WWF Italia che fotografa lo stato di salute delle aree naturali protette nostrane.
Pochi soldi, poco personale e scarsa attenzione. Purtroppo è questa l’istantanea che emerge dal rapporto ‘Check-up Parchi nazionali italiani’ che ha esaminato lo stato di salute delle aree naturali protette terrestri e marine del nostro Paese.
Facile deduzione, se per i suoi 23 parchi nazionali – 1,5 milioni di ettari, pari al 5% della nostra penisola – l’Italia destina 81 milioni di euro all’anno: ovvero 1 euro e 35 centesimi ad abitante, ovvero la spesa di un cappuccino.
Per le 29 Aree marine protette si mette ancora peggio: nel 2017 hanno ricevuto soli 7 milioni di euro per la gestione di 700 chilometri di costa e a 228mila ettari di mare.
Scarsi finanziamenti le cui conseguenze si riverberano nella carenza di personale: mancano geologi e veterinari (nell’83% dei casi), naturalisti, biologi, agronomi e forestali (nel 22% dei casi) e più della metà dei parchi non hanno un presidente o un direttore. Il personale impiegato nelle attività di conservazione non è sufficiente e le condizioni di impiego sono poco idonee a trattenere in servizio dipendenti con elevate professionalità.
Nella gestione, una minima percentuale delle aree protette (il 30%) ha approvato in via definitiva il Piano del parco e meno della metà ha adottato un Regolamento (il 44%).
Biodiversità e servizi ecosistemici
Tutte le Aree naturali del nostro Paese hanno elaborato check list delle specie e degli habitat presenti, le loro mappe di distribuzione e hanno condotto attività di monitoraggio. Tuttavia, la spesa sostenuta per queste attività non è ritenuta sufficiente, si legge nel Rappporto.
Considerazione che si rafforza se si passa a valutare le azioni di studio e conservazione svolte sulle specie e habitat prioritari presenti nei parchi.
Meno del 50% di specie e habitat prioritari inseriti in nelle Direttive Habitat e Uccelli sono stati oggetto di censimenti negli ultimi 5 anni, percentuale che sale di poco se si tratta di monitoraggi nei parchi della regione biogeografica alpina (Parchi alpini e dell’alto Appennino centrale) e continentale (dalla pianura padana alle coste del nord Adriatico, ad est del crinale appenninico) rispetto a quella mediterranea (dalla Liguria al Gargano, incluse le isole maggiori).
Le percentuali salgono al 60% se si tratta di misure specifiche di conservazione e sono del tutto assenti obiettivi quantificabili di conservazione, ovvero misurabili e da raggiungere in un dato periodo. Sorprendentemente, vanno meglio le azioni di comunicazione intraprese per far conoscere specie e habitat prioritari che, tuttavia, non più del 50% dei parchi hanno realizzato.
Per quanto riguarda le azioni di conservazione, 9 parchi su 23 rivelano di destinarvi meno del 5% del proprio bilancio e non viene mai fatta una valutazione dei servizi ecosistemici (ovvero la valutazione dei benefici multipli forniti dagli ecosistemi al genere umano) così come l’elaborazione di schemi di pagamento degli stessi servizi.
Tra le specie più monitorate, il lupo
Tra le specie più monitorate (da ben 14 parchi nazionali) troviamo il lupo (Canis lupus), seguito da aquila reale (Aquila chrysaetos) e coturnice (Alectoris graeca) indagati da 6 parchi, poi ululone appenninico (Bombina pachypus), scarabeo eremita (Osmoderma eremita) e cerambice del faggio (Rosalia alpina), oggetto di monitoraggio in 4 parchi.
Il budget destinato ad attività di studio e ricerca di queste specie, mediamente, oscilla tra il 5 e il 10% del bilancio complessivo degli enti di gestione: fortunatamente, molte sono oggetti di progetti europei o ministeriali che consentono di ampliare i margini di spesa.
Il metodo Rappam (Rapid Assessment and Priorization of Protected Area Management)
L’indagine, svolta dal WWF Italia, ha coinvolto tutti i 23 parchi nazionali e 26 aree marine protette sulle 29 istituite. È stata realizzata con il metodo Rappam (Rapid Assessment and Priorization of Protected Area Management), già applicato in molti Paesi del mondo e sviluppato dalla Commissione mondiale sulle aree protette (Wcpa).
In generale, il metodo RAPPAM è progettato per effettuare valutazioni a livello di un sistema di aree protette e può rispondere ad una serie di domande come: quali sono le principali minacce che le aree protette si trovano ad affrontare? Le risorse a disposizione delle AAPP sono sufficienti? Quali sono le urgenze di azione nelle diverse AAPP? Quanto le politiche nazionali e locali supportano una gestione efficace delle AAPP? Quali possono essere gli interventi più strategici per migliorare il sistema?, si legge nel Rapporto. E dovrebbe essere in grado di offrire ai gestori e ai decisori politici uno strumento per raggiungere l’obiettivo di promuovere un sistema vitale di aree protette (AAPP), consentendo una rapida valutazione della loro efficacia generale di gestione in un determinato Paese o regione.
Fonte Piemonte Parchi