Emozioni nella bufera: il Dhaulagiri di Carlalberto Cimenti
Carlalberto Cimenti, che a Pragelato in Val Chisone ed in
genere sulle Alpi tutti conoscono come Cala, aveva un bel progetto. Salire e
scendere con gli sci il Dhaulagiri, montagna himalayana alta 8167 metri,
settima in ordine di altezza della Terra. Una montagna salita per la prima
volta nel maggio 1960 da una spedizione svizzero/austriaca con Kurt Diemberger,
Max Eiselin, Peter Diener, Ernst Forrer, Albin Schelbert, e gli sherpa Nyima
Dorji e Nawang Dorji. Quella di Cala non era una prima assoluta quindi, ma
cercare di scendere un ottomila con gli sci è comunque un’impresa di tutto
rispetto. Soprattutto quando ci si scontra con la furia degli elementi ed i
capricci del tempo. Niente vetta quindi, ma in certe condizioni riportare la
pelle a casa è già un successo. Ecco la sua intervista con cui ci racconta che
cos’è successo.
Snowpassion: Salire e scendere dal Dhaulagiri con gli sci
era un bel progetto. Poi cos’è successo?
Cala: Un bel progetto che alla fine, sono convinto, avrei
potuto realizzare.. Voglio dire che sono partito per questa spedizione con gli
sci, con l’intenzione di usarli il più possibile, ma anche con la
preoccupazione di non poterli usare di continuo dalla cima fino in fondo. Soprattutto
nella parte alta, dove, a detta di tutti quelli con cui avevo parlato, proprio
prima della cima devi affrontare un
brutto traverso e un canale a 50°-55° che se non sono più che in
condizione non è possibile sciare.
Quando sono arrivato al campo base infatti le condizioni non
erano ottimali per gli sci: bisognava percorrere lunghi tratti su morena, su
placche di roccia, e su ghiaccio; poi quando finalmente arrivavi in zone dove
era possibile calzarli, erano piene di grossi crepacci e ponti precari. A tutto
questo bisogna aggiungere che per portare sù tutta l’attrezzatura per allestire
i campi alti e attrezzare un minimo la via (matassa di corda da 200 metri,
chiodi, viti, barre da neve ecc.), dovevamo caricarci ogni volta zaini da 25-30
kg. Così avevo deciso di non utilizzare gli sci e di procedere con gli scarponi
d’alta quota.
Snowpassion: Niente
sci quindi?
Cala: Effettivamente all’inizio mi ero rassegnato, poi però
tutto è cambiato dopo due settimane quando è arrivata una grossa perturbazione
che ha scaricato neve per sette giorni di seguito. Dopo quei giorni di stop
forzato al campo base e visibilità limitata, il paesaggio è cambiato
drasticamente. Tutto era ricoperto di neve, comprese le placche di roccia a
40°- 45°. Da quel momento ha avuto senso utilizzare gli sci. Mi ricordo ancora
la sensazione quando ho calzato per la prima volta gli scarponi da sci dopo
tanto camminare con quei barconi d’alta quota: è stato un po’ come quando
superman indossava il suo costume! Mi sono sentito subito più a mio agio e più
sicuro. Ad un tratto arrivare in cima mi è sembrato più facile di quanto
pensassi anche solo un attimo prima. Ormai calzavo i miei attrezzi preferiti, e
non me li sarei più tolti.
Snowpassion: In quel momento a che punto della spedizione
eravate? (acclimatamento, logistica, ecc.)
Cala: Eravamo acclimatati: avevamo dormito in momenti
diversi una notte a 5400 mt, due notti al C1 a 5800 mt, una notte al C2 a 6600
mt, e fatto anche una puntata a 6800 mt. Come logistica avevamo allestito i campi 1 e 2, e avevamo
approntato un deposito a 6800 con tutto il materiale per allestire il C3 che
avevamo previsto a circa 7400 mt. Tornati al campo base poi, a causa della
bufera, abbiamo dovuto subire uno stop forzato di sei giorni, che se da un lato
ha rallentato il nostro programma e messo a dura prova la nostra pazienza,
dall’altro ci ha permesso di riposare e produrre tutti i globuli rossi di cui
avevamo bisogno. Per cui in quel momento eravamo acclimatati, riposati, con
tutti campi preparati, e tanta voglia di salire. Insomma c’erano tutti gli
ingredienti per riuscire ad arrivare in cima.
Snowpassion: Così avete fatto un tentativo per la cima?
Cala: Io e Ivo Riba, il mio compagno in questa avventura,
siamo partiti il 10 ottobre con un programma di 4 o 5 giorni di alta quota che
ci avrebbe dovuto portare in cima, e gli sci si sono rivelati subito molto
efficaci. Procedevo molto più velocemente e con meno fatica di Ivo, che invece
senza sci sprofondava un casino nella neve fresca. Poi è successo che arrivati
nel punto dove avrebbe dovuto trovarsi il Campo 1 a 5800 metri, c’era solo una
distesa di neve in mezzo alla bufera. Abbiamo iniziato a scavare alle 15:30 e
alle 18:00 non avevamo ancora trovato niente. Per fortuna qualche minuto dopo,
quasi al buio, la pala ha urtato un paletto della tenda. Urla di gioia, almeno
potevamo recuperare frontale e sacco a pelo. La tenda era inutilizzabile, ma
abbiamo scavato una truna e potuto dormire nei nostri sacchi a pelo. Da lì in
poi tutto sempre più duro: il giorno dopo siamo stati colti da una tormenta
dopo due ore di salita mentre cercavamo di raggiungere il C2, e siamo dovuti
tornare nella truna ad aspettare tutto il giorno che smettesse. Il giorno dopo
ancora abbiamo deciso di partire alle due di notte per anticipare la tempesta
quotidiana che arrivava sempre verso le 10:30, e abbiamo patito un freddo
micidiale con i vestiti leggeri e bagnati e le raffiche di vento gelido, per
arrivare ai 6600 metri del Campo 2 e trovare lo stesso scenario del C1: niente
tenda, solo neve. Questa volta però non abbiamo trovato niente. Abbiamo scavato
quattro ore nel punto indicato dal GPS, poi, esausti e col brutto tempo che
stava arrivando, abbiamo dovuto girare i tacchi e tornare giù. Abbiamo perso la
tenda e tutta l’attrezzatura d’alta quota, ed è svanita la possibilità di
arrivare in cima. Però almeno mi sono fatto una discesa da sogno, dal C2 al C1.
Sono convinto però che se avessimo trovato il C2, avremmo
avuto buone possibilità di arrivare in cima, e poi ci sarebbero state le
condizioni per scendere con gli sci. Ma niente da fare, senza tutone tende e
fornelletto, non potevamo fare niente.
Snowpassion: Eravate praticamente gli unici sulla montagna.
Come hai vissuto questa sensazione d’isolamento?
Cala: E’ stata una cosa particolare. A Kathmandu, quando
sono venuto al corrente che non ci sarebbero state altre spedizioni sul
Dhaulagiri, subito sono stato preso dal panico, poi pian piano mi sono abituato
all’idea, ed ho iniziato ad apprezzare il fascino di questa situazione. Essere
solo noi due su una montagna così grande e selvaggia è qualcosa di
indescrivibile. Le emozioni si ampliano enormemente, e poi il fatto di dovere
scegliere la via, valutare i rischi, fare delle scelte. Tutto dipendeva da noi,
e se ti succedeva qualcosa, te la dovevi cavare da solo. E ce ne sono successe
di tutti i colori. E’ stata la spedizione in cui ho fatto le esperienze più
intense ed estreme e dove però ho ottenuto il risultato peggiore. Questa
esperienza mi ha fatto crescere molto, anche alpinisticamente ( o dovrei dire
himalayamente…)
Snowpassion: Pensi che usare gli sci su un 8000 sia un
vantaggio o un’ulteriore difficoltà, in un ambiente di per se già ostile?
Cala: Dipende molto dalla morfologia della montagna e dalle
condizioni della neve. Sicuramente tre chili in più in alta quota si sentono,
ma quando si possono utilizzare ai piedi, i vantaggi sono enormi. In discesa
poi i tempi e la fatica sono sette-otto volte inferiori rispetto a uno che
procede a piedi.
Snowpassion: Non hai usato l’ossigeno artificiale nelle tue
3 spedizioni (Cho Oyu, Manaslu e Dhaulagiri). Sei un superman o ti sai
allenare?
Cala: Mi piacerebbe poter dire di essere un superman, in
realtà non credo. Mi alleno tanto e sicuramente ho una grande capacità di
sopportare la fatica. Poi ottengo buoni risultati nelle gare e anche in Himalaya, ma credo che
sia soprattutto grazie agli allenamenti, e al lavoro che faccio sulla
concentrazione e la sopportazione. Anche quelle si devono allenare.
Snowpassion: Dalle montagne della Val Chisone alle grandi
montagne himalayane. Quali sono i punti di contatto?
Cala: Mah non saprei dire. Ogni valle, ogni montagna ha le
proprie storie, la propria personalità. Mi piacerebbe poter essere io il punto
di contatto, mostrare attraverso le mie foto ed i miei filmati tutte le
esperienze fatte là anche e soprattutto grazie alla fatica fatta qua. La fatica
rimane la stessa, cambiano l’aria, gli odori, le genti. Sicuramente ho portato
un po’ di Val Chisone in Himalaya, così come mi piace pensare di portare un po’
di Himalaya in Val Chisone, non solo con le foto o con il Barzar, il mio nuovo
locale a Pragelato, ma anche con le esperienze fatte ed i valori ricavati e
plasmati da esse.
Snowpassion: Gare di scialpinismo, freeride e spedizioni.
Come fai a conciliare le tre attività?
Cala: In realtà vado matto per tutte e tre questa
discipline. Sono simili, ma richiedono tutte molto allenamento anche mirato, e
il problema maggiore è il tempo. Visto che non sono un professionista del
settore, devo anche lavorare: gestisco un ristorante a Pragelato, e ogni tanto
devo anche dedicarmi a questo… . Per quanto riguarda le tre attività,
sicuramente le spedizioni hanno la priorità su tutto, ma sono anche la cosa più
costosa. Mi piacerebbe partire più spesso. La combinazione tra viaggio,
alpinismo estremo (nel senso di alpinismo in cui te la devi cavare sempre coi
tuoi mezzi senza contare mai su un eventuale soccorso esterno), nuove
esperienze e nuovi orizzonti, per me è qualcosa di irresistibile. E poi in spedizione
puoi fare del freeride, allenandoti per le gare di skialp puoi fare del
freeride, facendo del freeride ti puoi allenare per le gare e così via.
Snowpassion: Quale sarà la tua prossima meta?
Cala: Ho già un bel progetto in Tibet, sullo Shisha Pangma,
ma dovrei partire in primavera e non so se avrò la disponibilità economica. Se
no magari di nuovo il Manaslu ma con un avvicinamento diverso e una montagna di
acclimatamento prima, oppure di nuovo il Dhaula in autunno ma anche qui con
trekking diverso e una serie di montagne da scalare in loco come
acclimatamento. Ne ho altri mille in mente a seconda del budget a disposizione.
Per ora iniziamo la stagione scialpinistica qui da noi, visto che è arrivata la
neve.
Foto di Ivo Riba e Cala Cimenti