Credere nel cicloescursionismo di quota: in val Germanasca il progetto di ripristino della mulattiera militare
Piero Bini e Antonio Lazzari, appassionati praticanti di mountain bike e di escursionismo, stanno mettendo in piedi il progetto per ripristinare la mulattiera militare della Val Germanasca, in provincia di Torino. Di seguito il loro progetto, da seguire con attenzione e da replicare in tante vallate di Alpi e Appennini, magari dotate di piccole stazioni sciistiche, come qui Prali, che ormai per far quadrare i conti devono ripensare il turismo non solo per l’inverno sugli sci, ma anche in estate e autunno per escursionismo e soprattutto mountain bike. Questo il loro progetto:
“A questo proposito, la mulattiera militare della val Germanasca resta un eloquente paradigma di una risorsa non sfruttata. Di recente l’abbiamo esplorata tutta, colmi di meraviglia per le qualità dell’opera da iscrivere fra i capolavori ingegneristici, alla pari – ad esempio – dell’antica militare dell’Assietta tra Colle delle Finestre e Forte Serin o della decauville di val Arnas sopra Usseglio.
La mulattiera militare costruita sul crinale con la Val Pellice intorno al 1903, ovvero in concomitanza del quarto rinnovo della Triplice Alleanza, è stata abbandonata dal demanio militare e solo la grande accuratezza dell’opera ha permesso di resistere al tempo; mentre per l’altra strada citata ad esempio, cioè la carrareccia militare dell’Assietta anteriore di una decina d’anni, basterebbe rappezzare non più di una decina di tratti franati od intasati da massi per un totale di un centinaio di metri. Anche in questo caso una riflessione sui risparmi legati ad una più accurata manutenzione sarebbe opportuna. In ogni caso l’intendimento è quello di cercare di risistemare i tracciati per rinnovare la loro destinazione, rendendoli percorribili (con le limitazioni che diremo) anche ai ciclisti, escludendo o limitando l’uso di veicoli motorizzati.
Prima di una succinta descrizione della mulattiera militare – per la volontà di proporla a modello di un altro modo di intendere la montagna, attribuendo nuove funzioni a ciò che abbiamo trascurato da immeritevoli eredi di valorose tradizioni – occorre fare alcune brevi premesse indispensabili per intendere la non velleitarietà di una proposta che vuole essere invece concreta e pratica.
Siamo alle soglie di un mutamento di indirizzo nel turismo escursionistico, sempre più alla ricerca di luoghi che conservino una loro semplice genuinità.
Di questo abbiamo continue conferme e testimonianze, sia nei numerosi incontri in quota, sia constatando l’aumento esponenziale dei soggiorni nei rifugi, con l’accesso di stranieri attratti dalle nostre montagne. In tale contesto si inserisce una peculiare specialità: l’ingresso del ciclismo d’altura permesso dalle mountain bike e del tutto recentemente favorito dall’introduzione delle e-bike, cioè dalle bici dotate di un motore elettrico ausiliario che permette anche ai non particolarmente allenati lunghi percorsi in salita. Un’esplosione ormai evidente in molti paesi. La Bosch (il maggior produttore insieme alla Yamaha) per esempio conta di mettere sul mercato 7 milioni di motori elettrici nei prossimi anni!
L’Italia sembra per ora quasi assente sia a livello tecnico sia nel valutarne le probabili conseguenze sul turismo.
Non tutto il paese, si badi. In Trentino ed in Alto Adige sono disponibili mappe cartografiche stampate apposta per mettere in evidenza i tracciati ciclabili d’altura, e in senso generale si dimostrano più attenti ad un fenomeno in grado di convogliare un gran numero di appassionati. Al Monginevro la nota stazione di sport invernali confinante con la Val Susa, un tempo pressoché deserta d’estate, la stagione turistica è sostenuta proprio dai bikers attratti dalle numerose piste disponibili.
L’impressione qui in Piemonte è diversa: sono evidenti le difficoltà di recepire il nuovo, l’incapacità di coordinare le iniziative, per gestire al meglio le deboli risorse a disposizione. Tuttavia restano molte forze a lato potenzialmente da coinvolgere: dal volontariato, alle associazioni istituzionali che possono rilanciare il turismo montano rendendolo redditizio. Anticipare le soluzioni significa pertanto vincere una importante scommessa.
Il segreto è molto semplice: creare percorsi ad anello evitando di sciupare risorse in singoli spezzoni, se si vuole incrementare una forma di escursionismo che permetta l’esplorazione del territorio, dando congrue informazioni in siti appositi (ormai ogni turista le ricava da Internet più che dalla carta stampata) e suscitando al contempo una risonanza mediatica nazionale ed internazionale di qualità.
E’ ora di delineare il tracciato. Possiamo dividere la mulattiera in due tratte contigue, ma diverse per gli obbiettivi che ci proponiamo. Il più interessante è senz’altro il percorso che va dai Tredici Laghi sopra Prali, nell’alta Val Germanasca, al Lago Verde. La seggiovia di Prali è in grado di portare i ciclisti alla partenza, risparmiando loro una salita. Dal Bric Riond (arrivo della seggiovia, intorno ai 2400 m) la mulattiera rimane in quota pur con alcuni saliscendi. Si alternano tratti ancora integri a tratti in cui la mulattiera è ridotta a sentiero. Dopo circa 10 km – superato il Col Giulian che permette un facile collegamento con Bobbio in Val Pellice raggiungibile dalla sterrata che arriva dal Col Faure alla Bergerie sottostante, ed il Col di Brard dal quale si scende nel vallone delle miniere, trascurando altri possibili collegamenti – si arriva al punto culminante sotto la Gran Guglia (circa 2800 m) da dove inizia la discesa al Lago verde, prossimo al passo di Abries da cui è raggiungibile il Queyras francese. Dal rifugio Bessone situato sulle sue sponde parte una comoda sterrata per il ritorno a Prali. (il percorso è possibile anche all’inverso).
Il secondo tratto di ugual lunghezze pure molto interessante ed agevole passa sopra le miniere di talco della valle (una volta congiunte dalla decauville del Gran Courdon) unendo i Tredici Laghi alla Rocca Bianca ed il sottostante colle della Balma. Anche in questo caso sono possibili collegamenti con i comuni vicini: sia raggiungendo l’Alpe Cialancia (dove arriva una diramazione della sterrata della Conca omonima partita dall’Alpe del Lauson) e così scendere a Perrero, sia una variante più breve e facilmente attuabile su Ghigo. Purtroppo di quella che un tempo era la pista ciclabile del Vallone di Faetto sono rimaste solo le paline indicatrici: per lungo temo del tutto trascurata è ora pressoché intransitabile, per cui una eventuale risistemazione di questo tratto appare molto oneroso.
Per una più precisa descrizione dei tragitti citati si rimanda ai due capitoli ‘La rocca bianca e il Gran Courdon’ e ‘Dai cannoni del lago Ramella al Bric Bucie: le mulattiere militari dell’alta val Germanasca’ nella guida ‘Sentieri delle Meraviglie’ di Diego Vaschetto, edizioni del Capricorno. Mentre per la cartografia si indicano ‘Alpi Valdesi’ annessa all’analogo numero di Meridiani Montagna e il n° l dell’Istituto Geografico centrale di Torino dedicato a ‘Valli di Susa, Chisone e Germanasca’, entrambi 1:50.000 o la 105 sempre dell’Istituto Geografico centrale 1:25000 che copre in parte la zona.
In conclusione vorremmo che la proposta fosse considerata per i suoi propositi turistici: condurre un restauro del tracciato con l’intento di renderlo parzialmente ciclabile, se da un vista generale sarebbe il segnale di un importante cambio di attenzione, sul piano pratico significa avvalersi di una preziosa risorsa per richiamare appassionati da ogni paese.
Per renderla efficace occorre secondo noi in primo luogo curare il fondo (usando, per esempio, sabbia di cava) e poi mantenere una larghezza sufficiente non inferiore al metro per permettere, nei tratti in cui non è possibile rimanere in sella, la spinta con la bici al fianco. Per una ciclabilità sufficiente si intende una ciclabilità di almeno il 65% con 25% di segmenti a spinta e meno del 10% di portage.
Per questo occorre un ricognizione generale seguita da un progetto di massima con una valutazione dei costi economici. Sicuri che il coinvolgimento dei Comuni toccati dal percorso e le Istituzioni montane (dal CAI all’ANA) sia importante per creare quel movimento di opinione necessario per raccogliere fondi e volontari. Del tutto recentemente abbiamo presentato la proposta al Sindaco di Prali, che ci ha ascoltato con attenzione. Il nostro piccolo gruppo di volontari salirà di nuovo al disgelo per una prima opera di pulizia in grado di rendere più percorribile i tratti già meno impegnativi, sperando già cosi di attrarre più ciclisti e di promuovere un movimento di opinione necessario per la realizzare l’iniziativa. Ben contenti se per quella occasione altri si uniranno.”