Abiti usati? Portali in negozio e ottieni uno sconto, il cassonetto è un ricordo
Da qualche anno in svariati punti vendita di abbigliamento è iniziata la raccolta degli abiti usati. Si accettano abiti di qualsiasi marca e, a differenza di altri sistemi di raccolta differenziata, alla consegna degli abiti viene corrisposto un buono sconto per l’acquisto di abiti nuovi.
Aderiscono negozi di abbigliamento (fra gli altri H&M, OVS) e di intimi e costumi da bagno (Intimissimi, Calzedonia) ma anche i marchi di abbigliamento sportivo per l’outdoor come Mammut (in Svizzera, Germania e Austria) hanno iniziato a raccogliere i capi usati in cambio di sconti.
Destinazione? In parte il riuso, in parte il riciclo.
I prodotti tessili usati solitamente hanno un altro destino. Se i più saggi li donano anche all’interno della famiglia, basti pensare agli abiti per bambini che hanno vita breve, la destinazione finale del capo è ancora troppo spesso il cestino della spazzatura.
Da rifiuto a risorsa
Il 95% del materiale di cui sono fatti gli abiti usati potrebbe essere riciclato. La vita degli indumenti si allunga trasformando in materie prime gli elementi di cui sono fatti, diventando materiali isolanti per l’edilizia, rivestimenti per auto o vengono impiegati nella produzione di carta pregiata.
Qual è l’impatto sull’ambiente? Per ogni chilo di indumenti usati riciclati si risparmiano 6.000 litri d’acqua e 3,6 chilogrammi di anidride carbonica usati nella produzione dei capi, per non considerare pesticidi e fertilizzanti usati nella coltivazione del cotone e delle altre fibre usate nell’industria tessile.
Il riuso non è però escluso. A fianco a questo sistema a cui stanno aderendo le grandi catene, dove i capi ancora riutilizzabili vengono rivenduti al mercato mondiale e il resto riciclato, vi sono meccanismi a cui siamo abituati: i bidoni differenziati per i vestiti, le associazioni caritatevoli.
I sospetti sui bidoni differenziati e sulle donazioni
Sui bidoni differenziati per vestiti si è aperto un filone d’inchiesta legato a Mafia Capitale: troppe le incongruenze fra le tonnellate di indumenti raccolti e l’utilizzo effettivo da parte di chi ne ha bisogno. Il sospetto è che nella raccolta venga alimentato illecitamente il mercato degli abiti usati quando chi dona lo fa senza contropartita e per fini caritatevoli.
Le Caritas sono un altro tradizionale punto di raccolta di abiti usati. La gestione cambia a seconda di chi organizza la distribuzione. Dove viene fatta una selezione fra chi ha effettivamente bisogno e chi no le cose funzionano meglio, altrimenti i donatori vedono i propri abiti fra le mani di chi magari ha più disponibilità oppure entrare nel circuito dei mercatini e si disaffezionano.
In un rapporto del 2013 di Occhio del Riciclone, il commercio di stracci viene legato alla criminalità organizzata, descrivendo come le indagini del 2011 e 2012 hanno fatto emergere un traffico illecito fra Nord e Sud, dove gli abiti venivano intercettati dal circolo legale per finire ai grossisti di Ercolano tramite falsificazione di documenti di trasporto e smaltimento illegale.
Questi casi non devono però scoraggiare al riciclo. ONLUS come Humana, che effettua la raccolta in regioni del nord e centro italia, hanno denunciato esse stesse le infiltrazioni della criminalità organizzata. Al 2013 Humana inviava il 32% degli abiti in Africa, dove venivano selezionati da manodopera locale impiegata allo scopo e venduta ai grossisti africani alimentando un circuito economico.
Donazione o gestione industriale del rifiuto / risorsa?
A meno che non si conosca direttamente la realtà in cui vengono gestite le donazioni, la raccolta nei punti vendita appare molto più affidabile rispetto alla destinazione del rifiuto. È nell’interesse degli stessi raccoglitori alimentare le fonti di materie prime riciclate ed è negli interessi dei consumatori portare il capo per vedersi riconosciuto uno sconto sui capi nuovi. Anche casi come quello di Humana sono lodevoli perché incastrano la raccolta degli abiti usati in un sistema economico virtuoso che contribuisce direttamente al benessere delle popolazioni locali. Anche i programmi delle grandi catene prevedono che una percentuale degli introiti vengano assegnati ad associazioni benefiche, ad esempio Save the Children in Italia.
Qualsiasi mezzo si decida di usare, raccolta differenziata o raccolta nei negozi, i vestiti non sono più un rifiuto ma sono una risorsa per l’ambiente, l’industria e le popolazioni svantaggiate. Non abbiamo più scuse per gettarli nel cassonetto indifferenziato.
Per saperne di più
- Rapporto di Occhio del Riciclone (2013)
- Il riciclaggio in una catena di intimi italiana
- Il programma CharityStar in una multinazionale operante in Italia
- Il programma di riciclo di Mammut