Sesta estinzione di massa delle specie animali, è tutta colpa dell’uomo?
Due o trecento anni al massimo – avvertono gli scienziati – e il mondo come lo conosciamo oggi, potrebbe essere estinto. Un processo in corso che riguarderebbe il 30% delle specie animali che siamo abituati a vedere. Non così lontane, dunque, nello spazio e nel tempo, come quelle esposte nella mostra ‘Biodiversità dei vertebrati in allarme rosso’ curata dal Museo regionale di Scienze naturali e mirabilmente allestita a Torino
Forse il quagga e il dodo sono i più curiosi. Ma è davvero lungo l’elenco delle specie estinte – o seriamente minacciate – descritte e raccontate da ‘Esinzioni. Biodiversità dei vertebrati in allarme rosso’ mostra curata dal Museo regionale di Scienze naturali e allestita a Torino, negli spazi espositivi della Regione Piemonte, in piazza Castello.
La mostra espone alcuni degli animali estinti – o più soggetti a rischio d’estinzione a causa dell’uomo – rappresentati da esemplari di eccezionale valore scientifico, qualcuno addirittura risalente all’800, e appartenenti alle collezioni del Museo storico di zoologia dell’Università di Torino: è il caso della coppia di leoni berberi arrivati da lontano e ospitati per qualche tempo nella Palazzina di Caccia a Stupinigi e, ai giorni nostri, sempre meno presenti in giro per il mondo, forse solo più in qualche circo cistercense.
Tra gli animali esposti alcuni appartengono alle collezioni dello storico Museo di Paleontologia, come lo scheletro di Moa, uccello simile allo struzzo che non ha mai volato visti i suo 300 chili di peso, ma che viveva un tempo in Nuova Zelanda.
«Molte delle specie a rischio d’estinzione arrivano da habitat insulari – spiega Franco Andreone, erpetologo e co-curatore della mostra, insieme a Elena Gavetti ed Elena Giacobino del Museo regionale. E questo accade perché sulle isole c’è un equilibrio ecologico peculiare». Ne è un esempio, il lupo della Tasmania che proviene dalla Collezione zoologica del Museo di Firenze così come il kiwi australe, singolare uccello endemico della Nuova Zelanda dove è ancora presente in un habitat molto ristretto – sebbene la specie sia considerata vulnerabile dall’IUCN (l’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura) – perlopiù coincidente con l’Isola di Stewart.
Non è quindi un caso che Il Museo di Scienze conduca da anni un’attività di ricerca nell’Isola del Madagascar, una vera arca della diversità biologica dei giorni nostri, situata alla deriva dell’Oceano Indiano e considerata uno dei luoghi più importanti della biodiversità mondiale. Qui le ricerche hanno portato alla scoperta di 50 nuove specie di anfibi e di rettili e sono stati realizzati specifici programmi di conservazione che prevedono, fra l’altro, la salvaguardia degli ambienti naturali, l’allevamento in cattività di specie minacciate e l’educazione delle comunità locali. Questo perché è l’azione dell’uomo che sta compromettendo i delicati ecosistemi dell’isola, a partire dalla deforestazione messa in atto sull’isola.
L’estinzione quindi, porta con sé diverse cause, ma uno stesso fautore. È l’uomo che ha causato l’estinzione del quagga, un equide molto simile alla zebra di pianura, un tempo distribuito nelle pianure aride della parte meridionale del Sud Africa. Dalla fine Settecento, con l’arrivo dei coloni europei, venne declassato a competitore da eliminare per favorire l’allevamento di bovini e pecore, nonché animale da cacciare per la carne e il suo pellame.
Ed è sempre l’uomo che attraverso pratiche di caccia e pesca, alterazioni degli habitat e attività commerciali, mette a serio repentaglio la sopravvivenza di animali come l’ornitorinco, uno dei mammiferi più insoliti che si possa trovare in natura. Endemico dell’Australia orientale, è considerato a rischio minimo anche se la popolazione è in declino per l’alterazione degli habitat fluviali e per le conseguenze dei cambiamenti climatici.
Le estinzioni e la Lista rossa IUCN
Non occorre, dunque, guardare così indietro nel tempo per trovare animali a rischio di estinzione.
L’IUCN – ovvero l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (International Union for the Conservation of Nature), organizzazione non governativa internazionale che la missione di ‘influenzare, incoraggiare e assistere le società in tutto il mondo a conservare l’integrità e diversità della natura e di assicurare che ogni utilizzo delle risorse naturali sia equo ed ecologicamente sostenibile’ – da 50 anni mantiene e aggiorna la Lista Rossa IUCN, in inglese la Red List of Threatened Species : il più completo inventario del rischio di estinzione delle specie a livello globale.
La biodiversità del nostro Pianeta è quotidianamente erosa: il numero di oranghi del Borneo è calato del 25% negli ultimi dieci anni, arrivando a 80mila esemplari. I ghepardi sono 7mila e la loro area di diffusione si è ridotta del 90%. I 35mila leoni africani hanno subito un calo del 43% negli ultimi 25 anni. (fonte: Pnas)
L’Italia, pur mantenendo il record europeo della biodiversità, con 55.600 specie animali (pari al 30% del totale continentale) e 7.636 specie vegetali salvate dall’estinzione – subisce una perdita annuale di specie pari allo 0,5% del totale censito dall’IUCN e su oltre 2.800 specie esaminate, 596 sono a rischio: una percentuale del tutto ragguardevole, pari al 20%.
Per scongiurare le estinzioni in Europa
La conservazione della biodiversità è, fortunatamente, d’interesse anche per l’Unione europea: nel 1992, infatti, il Consiglio europeo ha emanato la Direttiva ‘Habitat’ che, insieme alla Direttiva ‘Uccelli’, costituiscono il cuore della politica comunitaria in materia di conservazione degli habitat naturali e seminaturali, della flora e della fauna selvatiche, nonché base legale su cui si fonda Natura 2000. Il recepimento della Direttiva, in Italia, è avvenuto nel 1997.
Scopo della Direttiva Habitat è salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il trattato (art 2) e per il raggiungimento di questo obiettivo la Direttiva stabilisce misure volte ad assicurare il mantenimento o il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, degli habitat e delle specie di interesse comunitario elencati nei suoi allegati.
La Direttiva è costruita intorno a due pilastri: la rete ecologica Natura 2000, costituita da siti mirati alla conservazione di habitat e specie elencati rispettivamente negli allegati I e II, e il regime di tutela delle specie elencate negli Allegati.
In Piemonte sono conosciute 112 specie inserite negli Allegati II e IV della Direttiva e tra quelle presenti, 7 specie sono considerate di interesse prioritario, perché maggiormente a rischio: i coleotteri Carabus olympiae, Osmoderma eremita e Rosalia alpina, il lepidottero Callimorpha quadripunctaria, lo storione (Acipenser naccarii*, il pelobate (Pelobates fuscus).
I chirotteri sono ben rappresentati come numero di specie (9 in allegato II), ma le colonie sono a elevato rischio di conservazione a causa delle molteplici pressioni antropiche.
Estinzioni: tutta colpa dell’uomo?
Per molti ricercatori e scienziati, la sesta estinzione di massa della storia del nostro Pianeta è già iniziata. Agricoltura, allevamento, sfruttamento del sottosuolo, caccia, bracconaggio e inquinamento influiscono nel processo di distruzione degli habitat dove giocano un ruolo importante anche i cambiamenti climatici. Sul tema ha posto l’attenzione l’assessore regionale all’Ambiente, Alberto Valmaggia, che all’inaugurazione dell’esposizione di piazza Castello ha detto: «Questa è una mostra per tutti che deve farci riflettere su come si possa vivere in modo compatibile sul nostro Pianeta. Noi non siamo riusciti a conoscere tutti questi animali estinti, ed è proprio per questo che dobbiamo riservare un’attenzione particolare all’ambiente in cui viviamo, da più punti di vista: quello della biodiversità, del paesaggio, della qualità dell’aria, dell’acqua… perché soltanto un comportamento attento può garantire, a noi stessi, una migliore qualità della vita».
Sicuramente governi, aziende e noi, abitanti del Pianeta, dovremmo ripensare alle nostre modalità di produzione e di consumo, oltre al nostro rapporto con il mondo naturale, sul quale la mostra del Museo regionale aiuta a riflettere: due o trecento anni al massimo – avvertono gli scienziati – e il mondo come lo conosciamo oggi, potrebbe essere estinto. Un processo che riguarderebbe il 30% delle specie di animali che siamo abituati a vedere. Non lontani, dunque, nello spazio e nel tempo come quelli esposti in piazza Castello, ma molto più vicini a tutti noi.
Perchè una mostra sulle estinzioni
La mostra – gratuita per il pubblico e aperta fino al 14 febbraio 2018 – segue un percorso tassonomico e racconta, attraverso dei focus, situazioni di estinzione pregresse e attuali. Si incontrano nella visita riferimenti a collezioni bibliografiche pregevoli e postazioni video esplicative – come già allestite al Muse, Museo Tridentino delle Scienze Naturali che per primo ha ospitato alcuni degli animali estinti – e preannuncia, oltre a un interessante calendario di conferenze sul tema , colpi di scena e novità sorprendenti per i visitatori come l’introduzione, a breve, di un mega-mammifero in modo da tenere alte curiosità e partecipazione.
Va detto che la mostra si inserisce in un più vasto progetto denominato ‘Estinzione – Una mostra, una banca dati genetica e ricerche sulle collezioni di Vertebrati estinti e in via di estinzione nei musei italiani di storia naturale’ finanziato dal MIUR Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, che cerca di scoprire qualcosa in più su queste raccolte.
L’obiettivo del progetto, che vede come partner il Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino, l’Università degli Studi di Padova, il MuSe Museo delle Scienze di Trento e il laboratorio FEM2 Ambiente di Milano, è infatti quello di riportare alla luce, valorizzare e rendere fruibili i dati di vertebrati estinti e in via di estinzione conservati presso i principali musei naturalistici italiani dove sono custodite collezioni scientifiche con secoli di storia alle spalle. Migliaia di reperti zoologici provenienti da ogni parte del mondo, frutto perlopiù di esplorazioni naturalistiche del’Ottocento, ma anche delle attuali attività scientifiche, sono conservati nei magazzini e celati all’occhio del grande pubblico, visionati esclusivamente dagli studiosi del settore.
Sono, infatti, molti di più gli esemplari di animali in possesso del Museo regionale di Scienze Naturali che – come ha ricordato più volte Franco Andreone, in occasione dell’inaugurazione della mostra – è chiuso da quattro anni, in seguito a un malaugurato incidente avvenuto nel 2013.
Un Museo, quello torinese, che come tutti i musei di storia naturale oggi, ha l’importante compito di conservare la biodiversità. È, infatti, compito delle collezioni scientifiche fornire ai conservazionisti di tutto il mondo, strumenti di comparazione con il passato, e lanciare un monito alle nuove generazioni, soprattutto in un’epoca come la nostra, definita ‘secolo delle estinzioni’. Epoca dalla quale ci auguriamo vivamente che il Museo regionale di Scienze Naturali passi indenne.
Fonte piemonte parchi