Due mesi al Kangchenjunga: il racconto di François Cazzanelli
Sembra sempre che il tempo voli, ma quando si è in attesa dell’occasione giusta per realizzare un sogno questo sembra fermarsi: così è stato per noi allo Yalung Base Camp a 5400 metri di quota ai piedi del Kangchenjunga
Avevamo lasciato l’Italia il 2 aprile e dopo solo quindici giorni siamo giunti al campo base, effettuando un trekking lunghissimo e selvaggio, con la stagione ancora in ritardo quindi con tantissima neve e un freddo che ci penetrava nelle ossa.
Siamo partiti subito forte aprendo le danze sulla montagna, durante le prime due tappe di acclimatamento siamo stati il team più attivo, quello che ha raggiunto la quota maggiore.
Una sera purtroppo ci giunge un messaggio dal nostro meteorologo Victor Baia: 9 giorni di brutto, siamo in silenzio, nessuno parla, il dispiacere e il nervosismo sono sui volti di tutti: “che facciamo?” dopo un attimo di silenzio generale riprendiamo le carte, ricominciamo a ridere e scherzare è inutile fasciarsi la testa! Il nostro gruppo aveva già preso un brutto colpo a causa dell’abbandono del nostro “veterano” Franco “Franz” Nicolini, costretto al rientro da problemi fisici e lavorativi. Dopo 9 giorni di stop al base con tempo brutto decidiamo di rompere gli indugi e saliamo al campo 2: la neve è alta, il vento è forte, infatti le altre spedizioni non si muovono, siamo l’unico team sulla montagna, arriviamo al campo 2 con un vento che ci schiaccia a terra, ci infiliamo in tenda e con la solita routine facciamo acqua, mangiucchiamo qualcosina e ci infiliamo nei nostri sacchi a pelo.
Durante la notte inizio ad avere caldo, sudo, ed esco dal sacco a pelo, com’è possibile avere caldo alle 2 di notte a 6900 metri? Mi accorgo di avere la febbre alta, chiamo Emrik che mi dà subito un paracetamolo ma non passa, la mattina devo scendere! La discesa non è stata facile, al campo base mi faccio visitare dal dottor Carlos Martinez, membro della spedizione spagnola, purtroppo mi trova una brutta infezione alla sinusite, inizio subito la cura con l’antibiotico e tanti anzi tantissimi fumenti! Nel frattempo è arrivata la notizia che dal 17 al 19 maggio è prevista una finestra di bel tempo, per provare la cima non c’è tempo da perdere, bisogna guarire.
La febbre sparisce e la sinusite va meglio, il 15 mattina finisco la cura e alle 6 dello stesso giorno partiamo dal base col coltello tra i denti, motivati e pronti a dare il massimo.
Ogni cosa procede come da programma e a metà pomeriggio siamo al due, ma per complicarci un po’ la vita durante la notte si alza il vento e subito ci arriva un messaggio di Baia “Fermi tutti il giorno per la cima slitta di uno, il vento è ancora troppo forte”. Questa notizia ci preoccupa tutti: 24 ore fermi al campo due a 6900 metri di quota può essere devastante, a quelle quote si mangia e si beve poco così anche stando fermi il fisico si debilita. Le ore passano lente ci spostiamo tra dentro e fuori dalla tenda, le parole sono scarse, ognuno pensa per se, la tensione è alta, la nostra sfida col “Kangch” è iniziata: per ora lui è in vantaggio.
Il 17 maggio ci svegliamo immersi in una splendida giornata: il sole è alto e il cielo ci sembra blu come non mai. Alle 11 partiamo direzione campo tre, ogni volta cerchiamo di ridurre al minimo il materiale ma lo zaino pesa sempre, saliamo in un labirinto di seracchi e crepacci e alle 14.30 siamo arrivati a destinazione a quota 7200 metri. Montiamo la nostra tenda mono telo e iniziamo a fare acqua, ma non riusciamo a mangiare niente e beviamo poco, qui la quota si fa sentire in tutte la sua violenza. Ci sistemiamo nella nostra tenda che è molto piccola, in tre siamo stretti, abbiamo un paio di materassini e niente sacco a pelo. Alle otto di sera chiamo Marco Confortola che è nella tenda vicina col suo Sherpa Passang “Marco partiamo” “ok ci sono”; secondo il nostro piano io e il “Confort” saremmo stati i primi a muoverci. Esco dalla tenda la luna illumina lo Jannu e nel canale si vedono le pile delle spedizioni commerciali che salgono in fila una dietro l’altra. Mi emoziono, lo spettacolo mi lascia senza parole, saluto Marco e Emrik “Qui è bellissimo io vado ciao e decisi”. Non sento il freddo salgo regolare cercando di respirare il più possibile, arrivo alla base del canale dove mi superano un gruppo di alpinisti con l’ossigeno, tra me e me in quel momento li ho invidiati e non poco, la pendenza aumenta e inizio ad appoggiare la punta della picca sulla neve. Sono due ore che cammino e sento che qualcosa non va, inizio a faticare tantissimo il numero di passi che riesco ad inanellare consecutivamente cala di volta in volta, passato un tratto ripido salto sul margine del crepaccio terminale, l’altimetro segna 7500 metri circa. Mi riposo un attimo e riparto, le mie sensazioni peggiorano sempre più mi sento stanco, debole, ad ogni passo devo fermarmi e le mie soste sono sempre più lunghe.
È mezzanotte e mezza, l’altimetro segna 7800 metri sono stravolto e inizio a perdere lucidità, basta devo scendere. Mi appoggio alla neve, sono sulle punte dei ramponi mi riposo scatto due foto e alcune immagini nel buio, nel frattempo arriva Marco Camandona: concentrato e motivato ha negli occhia solo la cima. Due parole veloci e riparte come un treno la sua energia mi lascia senza parole “attacca Marc!”. Cinquanta metri sotto vedo una pila che si avvicina mi raggiunge è Emrik Favre: non ha una bella cera, la faccia è provata, mi dice che ha freddissimo ai piedi e non li sente più! Ci guardiamo negli occhi e senza parlare capiamo che la nostra avventura al Kangchenjunga finisce li, a metà canale a 7800 metri.
Iniziamo a scendere piano il pendio è ripido e richiede la massima attenzione. Arrivati al campo 3 abbiamo una spiacevole sorpresa: la nostra tenda è sparita, portata via dal vento, allora giù verso il campo due, Emrik si è un po’ ripreso e procede con un passo decisamente più forte del mio. Arrivati al campo notiamo che ci è rimasta solo una bomboletta di gas e un materassino (avevamo portato tutto nella tenda volata via) che fare? Decidiamo di lasciare tutto li per Marco che nel frattempo stava salendo verso la vetta. Allora giù e ancora giù, è una nottata fantastica la luna illumina tutte le montagne e crea uno spettacolo incredibile. Alle 5:30 del mattino siamo al campo base, svegliamo subito Biman, il nostro cuoco, come gli ubriachi che rientrano da una serata ci facciamo preparare un piatto di pasta gigantesco. Finito ci buttiamo nei nostri sacchi a pelo e dormiamo tutto il giorno.
La sera ci arriva una chiamata di Marco via radio “Sono al due, ho fatto la cima” però non riusciamo a rispondergli. La mattina dopo decido di andare incontro ai nostri soci con un po’ di coca cola e acqua gasata, a quelle quote entrambe sono oro. Al campo 1 trovo Marco (Camandona) stanco ma felicissimo per la cima, dopo un’ora arriva anche “Confort” (Marco Confortola), è stanco, un po’ amareggiato perchè ha dovuto rinunciare alla vetta a 8300 metri circa per il freddo. La sera siamo tutti assieme al base l’indomani iniziamo a preparare i nostri bidoni: è arrivato il momento di tornare a casa! Il 21 iniziamo il ritorno: siamo tutti provati più che un trekking sembra la ritirata di Russia, ma siamo felici di ritornare dai nostri cari, due mesi sono lunghi e adesso siamo stufi e finalmente la mattina del 30 maggio atterriamo a Milano.
Il Kangchenjunga mi ha dato molto, è stata una grande avventura. Sinceramente anche non toccando la cima sono molto soddisfatto perché ho capito che il mio fisico si adatta bene all’alta quota, questo è un aspetto assai importante che mi dà ancora più motivazioni per le prossime spedizioni. Sono felice per Marco che ha raggiunto la vetta del suo sesto ottomila dando una grande prova di carattere e determinazione, ma in fondo la sua vittoria è un po’ quella dell’intero gruppo che fino alla fine è stato unito e affiatato. Torno a casa stanco ma felice e con la certezza che prima o poi ritornerò su questa montagna per arrivare in cima!
Ringrazio i miei compagni di spedizione che mi hanno trasmesso tanto e tutti i miei sponsor che mi hanno permesso di vivere questa fantastica esperienza.
Colgo l’occasione per ringraziare il Colonello Marco Mosso, il Colonello Remo Armano, il Luogo Tenente Ettore Taufer e tutto il Centro Sportivo Esercito di Courmayeur.
Di François Cazzanelli